martedì 8 novembre 2016

Corriere 8.11.16
Bersani evoca la scissione. Renzi: io non caccio
L’ex segretario: s e lui dice «fuori, fuori», bisognerà rassegnarsi. Poi aggiunge: il partito è casa mia
Resta la tensione nel Pd dopo la Leopolda. Cuperlo: se si arriva alla rottura, la colpa è di Matteo
di Marco Galluzzo

ROMA Per Luca Lotti, braccio destro del premier, parliamo di una cosa «che non esiste», ma l’ex ministro Cesare Damiano fa una previsione divergente, «se continua questo clima di scontro il partito ha i giorni contati». Entrambi fanno parte del Pd, ma danno letture opposte, due antipodi politici.
Dentro il Pd il livello del dibattito oscilla ormai fra caratteri psicodrammatici, tratti politici, accuse personali, e soprattutto non accenna a placarsi. L’ultima miccia è il coro della Leopolda, quel «fuori» ritmato, inteso come fuori dal partito, rivolto dalla platea alla minoranza del Pd, mentre Renzi proprio alla minoranza rivolgeva l’accusa di aver puntato tutto contro di lui, e di continuare a farlo.
La risposta di Pier Luigi Bersani non ha minimizzato nulla, anzi: «Il partito è casa mia, ma vedo che prende la piega di un partito che cammina su due gambe: arroganza e sudditanza. Perché a me ha fatto male sentire “fuori, fuori”, ma ha fatto ancora più male, al di là della voce da tifoseria, il silenzio di chi è stato zitto». E ancora: «Chi fa il segretario deve caricarsi della sintesi tra posizioni diverse, perché se accende le micce...». Tutto ciò anche se poche ore prima l’ex leader pd su Facebook aveva quasi evocato la scissione: «Io dico “dentro, dentro” ma se il segretario dice “fuori, fuori” bisognerà anche rassegnarsi a un certo punto». Mentre Gianni Cuperlo ha ribadito la necessità di evitare la rottura, anche se il premier «sarebbe il primo responsabile».
Insomma Renzi è presunto colpevole di non aver reagito al coro della platea, di non averlo fermato o commentato, in qualche modo di aver vissuto il momento come una goduria, e del resto per una coincidenza tutto accade mentre lo stesso Renzi confessa in tv, in un’intervista a Minoli su La7, la propria «cattiveria», riconoscendola come un difetto.
Ieri il premier è intervenuto, ma solo a 24 ore di distanza, per dire ad un’altra platea, questa volta a Frosinone, «buoni, buoni. Noi non cacciamo nessuno». Ma in un partito come il Pd 24 ore di silenzio equivalgono a scavare ulteriori fossati. E dunque alla reazione di Bersani rispondono i vicesegretari, Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani. Entrambi in modo duro. «Mi sembra una posizione molto strumentale», dice il primo. «Non è certo stato Renzi a dire “fuori, fuori”» alla Leopolda. «La nostra comunità chiede unità e lealtà. E questa lealtà è spesso venuta meno in questi ultimi mesi, bisognerebbe misurare le parole». E Serracchiani va giù pesante: «Bersani non stravolga la realtà ed eviti polemiche fuori luogo. Renzi non ha mai detto fuori a nessuno». Da Bersani «ci aspettiamo compostezza e proporzione anche nella dialettica più aspra». Perché «nel Pd si lavora e si dovrebbe sempre lavorare per l’unità, mai per dividere». Domani a Roma si terrà la manifestazione a favore del referendum costituzionale «Basta un Sìndaco»: in piazza di Spagna arriveranno centinaia di sindaci da tutta Italia, da Giuseppe Sala (Milano) a Flavio Tosi (Verona), da Enzo Bianco (Catania) a Dario Nardella (Firenze). Ovviamente ci sarà anche Renzi.