Corriere 8.11.16
Da Cuperlo a Orfini e Bellanova Tutte le amicizie perse a sinistra
di Monica Guerzoni
Così i pupilli non hanno più seguito i leader. A Bersani attacchi dai militanti su Facebook
ROMA
 Altre amicizie e sodalizi politici andranno in pezzi da qui al 4 
dicembre e dopo, sotto i fendenti incrociati del Sì e del No e dietro lo
 scudo della Costituzione. Gli ultimi mesi del Pd sono un lungo rosario 
di conversioni, rotture, dolorosi divorzi e improvvisi ricongiungimenti,
 un tornado di riposizionamenti politici che ha fatto scoppiare solide 
coppie e incrinato rapporti personali.
«Per questo referendum si 
stanno rompendo delle amicizie storiche» lamentò Pier Luigi Bersani la 
sera del 7 ottobre a Piacenza. Alla sua destra al tavolo dei relatori 
era seduto Giuliano Pisapia, ancora ferito per essere stato trattato 
come un collaborazionista quando disse che non si sarebbe iscritto al 
fronte del No. E chi era stato il primo della sinistra «arancione» a 
scagliare la pietra? L’amico Nando Dalla Chiesa, proprio colui che aveva
 coniato per Pisapia la romantica immagine di «sindaco gentiluomo».
Quante
 potrebbe raccontarne Roberto Speranza, di storie così. L’arrivederci di
 Cuperlo è cronaca di questi giorni, eppure il leader della decimata 
sinistra del Pd si sforza di restare freddo: «Io il termine tradimento 
non lo pronuncio, mi sono imposto di non proferire parola contro 
Gianni». E Bersani? Teresa Bellanova, un tempo focosa sindacalista della
 Cgil, sbarca sulla scena politica nazionale proprio grazie all’ex 
segretario, ma Renzi la fa sottosegretario e viceministro e sabato 
eccola lì, sul palco della Leopolda, a tuonare conto la «compagnia dei 
rancorosi» e a ironizzare sulle teorie di Bersani: «Il combinato 
disposto? Parla come mangi!». I parlamentari che gli sono rimasti vicini
 rivelano che Bersani è «profondamente amareggiato per la coltellata 
alla schiena» e insinuano che sia stata inferta a Pier Luigi «per 
sdebitarsi con Matteo».
A rattristare l’inventore delle 
«lenzuolate» avevano già provveduto il sottosegretario Luciano Pizzetti e
 il «mite» Maurizio Martina, diventato ministro di Renzi in quota 
Bersani (era il suo pupillo in Lombardia) e ora schieratissimo sul Sì. 
«L’operazione del segretario è staccare da Bersani la nuova generazione,
 come a suo tempo fece Craxi nel Psi — è l’analisi del bersaniano 
Federico Fornaro —. Una volta accolti alla corte del potere, i 
beneficiati portano in dote il dono del Sì».
Massimo D’Alema i 
suoi pupilli li ha persi tutti per strada. Claudio Velardi gli ha dato 
del «bollito», Fabrizio Rondolino si è convertito sulla via della 
Leopolda e due giorni fa ci si è messo Gianni Cuperlo, che dalemiano è 
stato per cinque lunghi lustri. Il professor Beppe Vacca, direttore 
della Fondazione Istituto Gramsci di Roma nonché del Comitato del Sì nel
 Lazio, applaude il compagno Gianni: «È stato coerente. Da quando ha 
perso le primarie contro Renzi è la prima volta che vince una battaglia 
politica». Non ha tradito la minoranza, decidendo di sostenere la 
riforma Boschi? «In politica esiste la congiura e il colpo alla nuca, ma
 il tradimento no». Quanto a se stesso, il già dalemiano professor Vacca
 si sente a posto con la coscienza e ammette di aver sbagliato a 
giudicare Renzi: «Nel 2012 dissi che era inadatto a governare, ma non 
avevo capito la sua tempra politica. Mi sono ricreduto e, per la mia 
idea di militanza, rimango leale al leader di turno». È D’Alema che ha 
cambiato rotta, o sono i suoi che lo hanno mollato? «Lui pensa che il Pd
 sia un amalgama mal riuscito e investe sulla sconfitta di Renzi 
sperando che si riaprano i giochi».
Cuperlo è solo l’ultimo dei 
fedelissimi partiti armi e bagagli per i lidi renziani e in cima alla 
lista spicca in grassetto il nome di Matteo Orfini: quasi un figlio per 
D’Alema, che dovette ammettere di averlo «allevato male».
Peppino 
Caldarola diresse L’Unità e al braccio di D’Alema entrò in Parlamento, 
ora però è al fianco del «governatore» Enrico Rossi e al referendum si 
asterrà. Andrea Manciulli e il sottosegretario Enzo Amendola non 
sembrano nutrire rimpianti e Livia Turco, pur orientata sul No, a Roma 
ha sostenuto un fanatico del Sì come Roberto Giachetti. Per cambiare 
verso alla Costituzione un ex ministro come Vannino Chiti, ricordato 
dalle cronache come leader dei dissidenti dem di Palazzo Madama, ha 
raggiunto la corrente di Martina, «Sinistra per il Sì» e la scelta, 
neanche a dirlo, ha gelato sia Bersani che Speranza.
A proposito 
di amori finiti, il risveglio del leader della minoranza è stato tra i 
più amari di sempre. Alle 11.45, sulla sua bacheca Facebook Bersani 
evoca la scissione: «Se il segretario dice “fuori, fuori” bisognerà 
anche rassegnarsi». È uno sfogo quasi scaramantico. Eppure è qui che il 
sodalizio con la sua gente per la prima volta si spezza. Sulla pagina 
del leader della sinistra, ancora quest’estate accolto alle Feste 
dell’Unità al grido «un—segretario—c’è—solo—un—segretario», piovono 
centinaia di addii. I post dei militanti grondano rabbia e delusione. 
C’è chi si dice pentito di averlo votato e chi lo invita ad accomodarsi 
ai giardinetti. Per Fornaro, «il frutto amaro della propaganda 
renziana».
 
