Corriere 8.11.16
Lo scontro con l’Europa diventa un’arma per dicembre
di Massimo Franco
Subìto
 o cercato, lo scontro con la Commissione europea sta diventando uno dei
 cardini della campagna referendaria di Matteo Renzi. In confronto, la 
rissa con la minoranza del Pd, i «fuori!» gridati al convegno della 
Leopolda contro i Bersani e i D’Alema sono beghe da cortile partitico. 
Per tentare la rimonta sul No e sul voto degli indecisi, lo smarcamento 
dai parametri europei appare più «popolare». «I sondaggi dicono che un 
terzo degli italiani è indeciso, non ha la più pallida idea del 
referendum», spiega ai suoi. «Bisogna andare casa per casa...».
In
 larghi settori dell’opinione pubblica, l’Europa è un bersaglio facile. 
Evocarla in negativo significa rivendicare l’interesse nazionale contro 
alleati egoisti in tema di migranti e di terremoto: giudizio diffuso, 
sul primo punto. E pazienza se è una strategia dalle conseguenze 
imprevedibili, compreso l’isolamento. La decisione di prevedere spese 
che l’Italia non si potrebbe permettere, sembra presa. M5S e Lega 
parlano di «finte liti» di Renzi con l’Ue; ma solo perché temono di 
essere sfidati sullo stesso terreno euroscettico.
La novità è che 
la Commissione Ue stavolta appare determinata a non trattare. Si è 
convinta che il governo di Roma abbia imboccato la strada del deficit. E
 risponde con una durezza e una rozzezza verbale che sorprendono. Il 
presidente Jean-Claude Juncker, uomo di solito prudente, afferma che 
l’Italia continua a «attaccarci a torto. Non può più dire, e se lo vuole
 dire lo può fare ma in realtà me ne frego, che le politiche di 
austerità sarebbero state continuate da questa Commissione come in 
precedenza». Non solo. Lascia capire che Renzi userebbe le emergenze per
 avere più soldi del necessario.
Con una punta di improvvisazione,
 Juncker ha detto che i costi «aggiuntivi» per migranti e terremoto 
varrebbero lo 0,1% del Pil. E invece, l’Italia propone un deficit del 
2,4 per cento dopo avere assicurato che nel 2017 lo avrebbe tenuto 
all’1,7. Se oggi può spendere 19 miliardi di euro in più, è perché la 
flessibilità è stata già concessa, le rinfaccia Juncker. Si tratta di un
 annuncio di scontro dietro il quale è difficile vedere solo il 
presidente: si indovina la filiera delle nazioni nordeuropee. 
«Rispettino gli impegni sui migranti», risponde Renzi, «e il bilancio 
dell’Italia migliorerà».
E subito annuncia che prenderà «i soldi 
per il sisma, piaccia o no, fuori dal patto di Stabilità». Idem quelli 
per l’edilizia scolastica. «Noi facciamo il salvadanaio e gli altri, 
nell’Ue, alzano muri». Lo scambio anticipa quello con Bruxelles sulla 
legge di Bilancio del ministro Pier Carlo Padoan, ritenuta priva di 
coperture finanziarie adeguate. D’altronde, alla Leopolda il premier si è
 scagliato contro il ritorno di un governo tecnico ispirato, di fatto, 
dall’Ue. Rimane il paradosso di un Renzi che chiede un Sì per 
legittimare l’Italia davanti all’Europa. Ma finisce per azzuffarsi 
proprio con quell’Europa.
 
