Corriere 7.11.16
I ragazzi-fantasma chiusi nella cameretta
Sono i più fragili tra i «neet», chi non studia né lavora. Le idee contro il «ritiro sociale»
di Dario Di Vico
Corpi
in una stanza, ragazzi-fantasma che, spesso a sorpresa, annunciano in
famiglia una sorta di «ritiro sociale». Sono i più fragili tra i neet ,
acronimo inglese di « not (engaged) in education, employment or training
», i giovani che non studiano e non lavorano. Si stima che siano circa
centomila, in prevalenza maschi. Per loro la Rete è un rifugio e, a
sorpresa, un aiuto.
Ritiro sociale è un’espressione ancora poco
nota. La utilizzano psicologi e operatori delle Onlus per definire i
comportamenti del segmento più fragile dei Neet,i giovani che non
studiano e non lavorano. Per avere un’immagine immediata di cosa
significhi il ritiro sociale si può pensare a un ragazzo barricato nella
sua cameretta con le tapparelle abbassate, il computer sempre acceso,
musica e libri, il cibo consumato lì in una segregazione auto-imposta.
Il fenomeno è molto conosciuto in Giappone — li chiamano hikikomori — ed
è iniziato negli anni 80. Riguarda per lo più maschi primogeniti e il
primo sintomo è la rinuncia a frequentare la scuola. Motivo: la
pressione della società che chiede una competizione alla quale il
giovane risponde negandosi. Le stime nipponiche variano da 400 mila a 2
milioni di coinvolti, il trend però è in crescita. Anche da noi la prima
manifestazione del ritiro sociale è l’auto-esclusione dalla scuola,
annunciata ai genitori una mattina a sorpresa senza segnali premonitori.
Le stime italiane sono di 100 mila ragazzi — un altro primato europeo
di cui non essere fieri — ma ovviamente non è facile elaborare dati così
delicati. A monitorare il fenomeno sono realtà come la cooperativa
Minotauro, che ha pubblicato di recente un testo dedicato ai ritirati e
dal titolo eloquente: «Il corpo in una stanza». Anche in Italia a essere
colpiti sono molto più i maschi perché a loro è stata trasmessa
un’identità fortemente condizionata dal ruolo sociale e dal successo
lavorativo.
L’annuncio a sorpresa
I corpi in una stanza non
hanno «voce» e l’unica strada per capirne di più è riannodare il filo
partendo dai racconti dei genitori. Così abbiamo fatto, organizzando un
focus group nella sede del Corriere a Milano. Rompe il ghiaccio Carmen:
«Una sera che non dimenticherò mai, Sandro si è seduto sul mobile della
cucina e mi ha detto: da domani a scuola non ci vado più, e così è
stato. Era in quarta liceo. Per tre anni è vissuto nella sua camera, ha
piantato il calcio, è diventato vegano e ha smesso anche di mangiare a
tavola con la famiglia». Racconta Giulia, un’altra mamma: «Marco ha
finito il liceo regolarmente, i guai sono arrivati dopo. Ha lavorato
come venditore per un’azienda, ma dopo diversi mesi non gli hanno voluto
riconoscere un contratto e non l’hanno pagato. E da lì ha spento la
luce, si è rifiutato di continuare gli studi e ha introiettato un senso
di vergogna e inadeguatezza. Voleva fare il deejay e adesso l’unica
compagnia che ha scelto è la musica». Si inserisce Nicoletta: «Francesco
un giorno mi ha confessato che andare a scuola era diventato un incubo
quotidiano. Si è ritirato in camera e si è costruito una rete di amici
virtuali in diverse città, ha perfezionato l’inglese ubriacandosi di
serie tv e non ne ha voluto più sapere dell’istituto turistico. L’ultima
delusione è stata l’impossibilità di essere assunto in un hotel, che
pure lo avrebbe preso, perché ancora minorenne». Le storie raccolte si
assomigliano molto e evidenziano il fallimento del rapporto con la
scuola, l’assenza dei padri, la vergogna nei confronti dei compagni di
classe, la creazione di circuiti di socializzazione a distanza.
Genitori e insegnanti
«La
scuola non raccoglie il dolore» sostiene Carmen. I giovani che per
qualche motivo incontrano la sofferenza negli anni della crescita — un
incidente, una malattia, la separazione conflittuale dei genitori —
rimangono segnati e il sistema scuola non riesce a reincluderli,
aumentando le loro probabilità di diventare Neet. Nel focus group il
giudizio sulla scuola è stato materia incandescente: i genitori
raccontano episodi di insensibilità degli insegnanti, di demotivazione
professionale, di trasmissione di un senso di inadeguatezza e la
conseguenza è l’aumento del tasso di dispersione. L’abbandono scolastico
è la prima fabbrica di Neet e infatti cresce (è al 15%) in
corrispondenza con l’aumento del tasso di disoccupazione. Secondo la
ricerca della onlus WeWorld denominata «Ghost», proprio perché dedicata
ai ragazzi-fantasma, un quarto di loro ha alle spalle iter scolastici
accidentati. Se i conflitti con la scuola potevamo prevederli il focus
group ha evidenziato un’altra costante: la totale assenza dei padri. Il
genitore maschio di fronte al ritiro sociale del figlio si scopre
impotente e cede spesso alla tentazione di squalificarlo. Lo considera
un fannullone, un incapace, un «disfunzionale». In uno dei casi il padre
ha addirittura diseredato il figlio e persino sul sostegno economico i
papà si eclissano. La gestione del ritiro pesa tutta sulle madri, che
delle volte trovano maggiore aiuto nei nuovi compagni di vita, più
disponibili dei veri padri. Ci sono anche casi in cui le donne maturano
un senso di auto-colpevolizzazione, come Nicoletta che si chiede «se non
ho sbagliato, è come se l’avessi tenuto nella pancia anche dopo la
nascita impedendogli così di crescere». «Economicamente è stato un
disastro — riepiloga Giulia — ho dovuto vendere una casa che avevamo
ereditato e tentare di costruire un percorso formativo. Un curriculum di
speranza che lo aiutasse un giorno a reinserirsi».
Se è vero che i
padri latitano, una funzione di supplenza la ricoprono le Onlus del
terzo settore, che partono dal sostegno psicologico e poi si incaricano
di stimolare il ragazzo per fargli recuperare interesse per il mondo
reale fuori dalle quattro mura. In questo modo sperano di farlo
transitare negli altri segmenti di Neet, i ragazzi che fanno
volontariato oppure che si aggrappano alla pratica sportiva per
socializzare . «Attacchiamoli alla vita» è il leitmotiv degli operatori.
L’aiuto della Rete
È
poi singolare come di fronte alle sconfitte dei soggetti «caldi» — la
famiglia e la scuola — il «freddo» Internet, l’elettronica impersonale e
mangia-privacy, diventi una ciambella di salvataggio, un assistente
sociale h24. La virtualità attenua la vergogna sociale, ne riduce
l’impatto fisico, il filtro del computer rassicura e lascia sempre
aperta la via di fuga. Smaterializza le amicizie e riduce il rischio
delle delusioni. Sono nate così pagine Facebook e chat di Skype per gli
hikikomori italiani con più di mille iscritti. «Francesco ha sempre
subito le dinamiche di gruppo perché maturo di testa e piccolo nel
fisico, sulla Rete invece ha trovato amici a Firenze, Bari e Roma. Più
grandi di lui con i quali gestisce ore e ore di chiacchiere al computer»
racconta Nicoletta. La spiegazione degli psicologi è che nella
dimensione virtuale i giovani ottengono le gratificazioni che la vita
reale ha negato loro. Come l’offesa di non ricevere nemmeno una risposta
formale agli Sos che inviano a pioggia sotto forma di curriculum e
lettere di presentazione ad aziende, centri per l’impiego e possibili
datori di lavoro.
Gli stessi studiosi motivano il carattere
prevalentemente maschile del ritiro sociale — le ragazze in Giappone
sono solo il 10% — con la trasmissione al femminile di un’idea di
realizzazione del sé più larga e sfaccettata e non riconducibile agli
stereotipi del successo/identità lavorativa. È un lascito di genere — e
non un’esperienza maturata sul campo — che però funziona da anticorpo,
evita di aggiungere esclusione a esclusione.
Ragazze e maternità
Non
vuol dire che l’intero universo Neet — oltre i ritirati — non sia
colorato di rosa, ma le traiettorie sono differenti: incide molto la
maternità attorno ai 20 anni, la scelta di restare a casa con i figli e
non presentarsi sul mercato del lavoro. Se i genitori dei ritirati
sociali di fronte al compito che si para loro davanti lottano per non
disperarsi, anche gli altri padri e madri dell’universo Neet finiscono
per essere spaesati. Come sintetizza Lucia Tagliabue di Jointly, una
rete di orientamento professionale: «Non sanno che consigli dare ai loro
ragazzi perché il mondo del lavoro viaggia a una velocità diversa e
temono di risultare iperprotettivi o eccessivamente rigidi nelle
imposizioni ai ragazzi».
P.S. Dal ritiro sociale fortunatamente si può uscire. Oggi Sandro ha 29 anni e fa l’insegnante di Tai chi.
(5 - continua)