Corriere 7.11.16
Che fai, mi cacci? Il rito è lo stesso 
Quelle epurazioni da II Repubblica
di Pierluigi Battista
E
 dunque anche nel Pd, o meglio in quella tumultuosa succursale del Pd 
super renziano che è la Leopolda fiorentina, è andata in scena 
l’ennesima replica di quella recita politico-teatrale che continua a 
contraddistinguere la vita dei partiti nati dopo la fine della Prima 
Repubblica: «Che fai, mi cacci?». Stavolta non è il reprobo Gianfranco 
Fini a prefigurare quello che poi regolarmente accadrà, e cioè la 
cacciata dal partito di Silvio Berlusconi decretata nelle segrete 
stanze, in tarda sera, in un summit con gli ex colonnelli di An. 
Stavolta è il furor di popolo che chiede a gran voce ritmata la cacciata
 («Fuori! Fuori!») mentre dal palco il leader assesta colpi micidiali ai
 riottosi, alla minoranza che dice No quando il grido di guerra impone 
il Sì. Un tempo, e cioè al tempo della radiazione del Manifesto , il Pci
 procedeva con la fredda e crudele determinazione delle procedure di 
messa alla porta dell’eretico. Oggi è tutto un altro clima. Ci vuole la 
folla che applaude la cacciata. L’insofferenza. Il fastidio per quelli 
che «oggettivamente» indeboliscono il Partito: «Fuori! Fuori!» e nessun 
dirigente della maggioranza pd che abbia preso le distanze.
Del 
resto è come se un demone capriccioso si fosse imposto nelle leadership 
forti per rimettere in riga chi non partecipa al coro. La cacciata di 
Fini dall’allora Pdl è stata preceduta dalla liturgia dei finiani che 
hanno manifestato tutta la loro indignazione nei confronti del Capo di 
un tempo per omaggiare con il più assoluto allineamento quello nuovo. 
Non c’erano i cori, ma tanti atti di sottomissione per manifestare la 
solitudine del reprobo.
Nel Movimento 5 Stelle, poi, l’espulsione 
reiterata di chi per ragioni misteriose viene messo ai margini prevede 
la folla che parla attraverso il blog. Possibilità di difesa? Nessuna. 
Procedure di garanzia? Nessuna. E davvero è difficile decifrare quali 
siano i motivi per cui da un certo punto in poi il sindaco di Parma 
Pizzarotti sia diventato il dissidente da isolare. Perché, esattamente 
perché, Pizzarotti è stato messo fuori, o comunque messo nelle 
condizioni di andarsene per l’impossibilità di una civile convivenza 
nello stesso Movim-ento? E come dimenticare il rito di umiliazione che 
dovette subire Roberto Maroni quando all’inizio dell’avventura della 
Lega osò manifestare il suo dissenso dalla linea stabilita d’autorità da
 Umberto Bossi?
Nei partiti personali, o a forte conduzione 
personale con una scarsa intelaiatura che garantisca spazi di movimento 
al partito fuori dal cono d’ombra del leaderismo, le cose sono più 
chiare: uno decide, tutti gli altri devono adeguarsi. C’è poi molta 
confusione se si pensa che il liberalismo di Silvio Berlusconi è così 
originale da suggerire la chiamata di Putin (sì, di Putin) in una lectio
 magistralis nella (peraltro mai aperta) Università Liberale.
La 
storia del Pd è un po’ diversa. Un partito peraltro figlio della fusione
 di due eredità, quella di un partito plasmato dalla regola ferrea del 
centralismo democratico e quella di un partito multiforme e ricco di 
correnti e sottocorrenti.
E infatti finora la defenestrazione è 
solo invocata dalla folla e non formalizzata in una scelta di 
estromissione della minoranza riottosa. Un tifo da curva alla Leopolda 
che ha avuto il suo antefatto quando sui social e sulla stampa del 
partito sono riaffiorate accuse contro Bersani e «traditori» 
(addirittura bollato come «squallido»: c’è sempre una parodia di Stalin 
che sonnecchia negli ex) gridate magari da chi militava nelle schiere 
bersaniane per poi adeguarsi nella renzizzazione del partito.
Oggi
 il «che fai mi cacci» di conio finiano sembra essere solo una minaccia,
 il prologo di quello che potrebbe accadere dopo il 4 dicembre se il 
leader dovesse trionfare al referendum. Ma una minaccia sostenuta dal 
tifo fragoroso dei seguaci del segretario. Un’abitudine molto 
frequentata nella Seconda Repubblica, e forse, sembra, anche nella Terza
 che si affaccia.
 
