lunedì 7 novembre 2016

Repubblica 7.11.16
Lo spartiacque di dicembre
di Stefano Folli

LA LEOPOLDA 2016 era stata annunciata come occasione per parlare al paese, affrontando i temi scomodi dell’attualità: dal terremoto all’economia stagnante. Più maturità e meno propaganda. In realtà, a parte gli spazi dedicati ai ministri — Padoan, Calenda e altri — , a Firenze ha dominato la preoccupazione del referendum.
E IN FONDO nessuno si è stupito: a un mese dalla data, sarebbe apparso strano che Renzi cambiasse il suo modulo comunicativo, l’unico che conosce o almeno l’unico con cui si sente a suo agio. In ogni caso, ha lasciato perplessi lo spettacolo di un’assemblea che si era aperta con grandi ambizioni — indicare ai giovani la via del futuro — e si è conclusa fra le invettive della platea (“fuori, fuori...”) rivolte alla minoranza interna. La quale non è esente da responsabilità politiche e da limiti imperdonabili, a cominciare dal settarismo inconcludente. Tuttavia fa una cattiva impressione vedere una riunione di seguaci del leader, eccitati dalla sua veemente arringa, reclamare a gran voce l’espulsione della minoranza e dei dissidenti interni, peraltro non presenti alla Leopolda. Se voleva essere una dimostrazione di forza, non lo è stata. E se l’ultimo atto dell’incontro fiorentino intendeva anticipare la fisionomia e lo stile del “partito del premier”, ormai in procinto di vedere la luce, c’è da dubitare che l’operazione abbia convinto gli indecisi. Avrà avuto l’applauso di chi è già convinto, sia sul “Sì” referendario sia sulla leadership, ma Renzi non ha bisogno di costoro, bensì di quelli che sono ancora a metà del fiume e che potrebbero fare la differenza. A ricordare quanto sia complessa e tortuosa la storia della sinistra italiana sembra sia rimasto nel Pd solo Cuperlo, con la sua tormentata vocazione a mediare e a sanare le fratture. Ne aveva appena dato una dimostrazione mettendo la sua firma sotto l’intesa di principio con la maggioranza interna per cambiare l’Italicum. Un’intesa che prenderà forma — se prenderà forma — solo dopo il referendum, cosa di cui nessuno dubitava. Ma dire “dopo il 4 dicembre” è oggi un’espressione ambigua: può significare tutto e il suo contrario. Dipenderà dalla lealtà dei protagonisti e soprattutto dai rapporti di forza che usciranno dalle urne. Per ora c’è solo un accordo minore che seppellisce la logica dell’Italicum e sulla carta raccoglie alcune delle richieste della minoranza. Cuperlo ha accettato di renderlo noto nei giorni della Leopolda come atto di riconciliazione interna, ma di sicuro non aveva previsto le urla e gli sberleffi contro i gruppi della minoranza. Senza contare che nemmeno Renzi ha speso una parola per illustrare o difendere la nuova base d’intesa. Non c’è bisogno di essere maliziosi per notare che anche lui aspetta l’esito del referendum prima di decidere alcunché. Il suo partito, quello a cui aspira da tempo e che è diverso non solo dalla “ditta” bersaniana ma anche dall’Ulivo prodiano, dipenderà dai “Sì” nelle urne molto più che dall’ingegneria elettorale. Resta il fatto che ieri il presidente del Consiglio ha arringato i suoi con il vigore a tratti drammatico di chi sa di essere alla vigilia della battaglia cruciale. Per cui alla fine la Leopolda 2016 ha dimostrato di essere soprattutto questo: un rapporto carismatico ed esclusivo fra il leader e i suoi fedeli. Quasi un giuramento rinnovato (però ha ragione Renzi quando chiede più impegno negli evanescenti comitati del “Sì”). Ne deriva che gli accordi più o meno di principio sulla nuova legge elettorale sono solo passaggi tattici sulla via del plebiscito. Il resto si vedrà in seguito.
Nel frattempo sul “Sole 24 Ore” il prof. D’Alimonte, padre tecnico dell’Italicum, osserva con amarezza le macerie. Ritiene un grave errore abbandonare il ballottaggio, sia perché non si otterrebbe più una maggioranza sicura sia perché una “manipolazione” dell’ultim’ora potrebbe non danneggiare, ma addirittura offrire un vantaggio alla propaganda di Grillo. D’Alimonte ragiona, appunto, da tecnico. Viceversa il sistema elettorale è sempre stato funzionale alla retorica politica. “Il modello che fra poco tutto il mondo vorrà imitare”; “è necessario sapere la sera stessa delle elezioni chi ha vinto e chi ha perso”; “la Spagna è in stallo perché non ha l’Italicum”: queste frasi non erano vere in assoluto, ma solo nel momento in cui venivano pronunciate. Erano strumentali a un obiettivo politico. Cambiato l’obiettivo, anche la retorica viene meno. Ma D’Alimonte può consolarsi: Renzi non ha ancora realmente deciso se e come la legge elettorale sarà modificata. L’appuntamento è sempre “dopo il 4 dicembre”. Per l’Italicum, il Monte dei Paschi, lo scontro con l’Europa. E altro.