Corriere 7.11.16
«È lui che esce dal partito»
La rabbia di Bersani & Co. e l’ombra lunga dell’addio
di Monica Guerzoni
FIRENZE
«La scissione la fa Renzi, non certo io... È lui che sta uscendo dal
Pd». Con queste parole in testa e, nelle orecchie, la dolorosa eco dei
cori della Leopolda contro di lui e gli altri ex ds, Pier Luigi Bersani
si è imbarcato ieri notte per la Sicilia: «Per cacciarmi dal Pd non
basta una Leopolda, ci vuole l’esercito». Un concetto che Roberto
Speranza declina con altrettanta rabbia in petto: «Il Pd non ha un
proprietario. Il marchio non è di Renzi, è della nostra comunità. Noi
non siamo il Partito di Renzi, come forse è la Leopolda. Noi siamo il
Pd».
Quel coro da brivido contro «i teorici della ditta quando ci
sono loro e dell’anarchia quando ci sono gli altri», con mezza Leopolda
che grida «Fuori! Fuori!» quando Renzi dal palco sferza (senza
nominarli) Bersani, Speranza e D’Alema, riapre la ferita della scissione
inevitabile. Il leader chiama alle armi il popolo dem e sparisce tra le
ovazioni dietro il palco. Ed è allora che lo spettro della rottura si
alza sotto le immense volte della ex stazione, dove duemila persone sono
accorse ad ascoltare il leader. «Scissione, scissione...». È questa la
parola sulla bocca di tutti, esponenti del governo, giornalisti e
militanti. Il 5 dicembre, se vince il Sì, i dissidenti saranno
accompagnati alla porta del Nazareno? «È il contrario — prevede un
dirigente molto vicino al premier —. Se vince Renzi sarà magnanimo e se
ne fregherà di una minoranza ininfluente». Niente «napalm» per spianare
la sinistra interna? «No, Matteo sarà tollerante con chi ha provato a
farlo fuori senza riuscirci. Ma se perde, non avrà pietà di nessuno.
Uscirà da Palazzo Chigi e si andrà a elezioni, ma resterà al Nazareno». A
quel punto, avvertono i renziani, il segretario non lascerà spazio
nelle liste elettorali «a chi ha sabotato le riforme».
La resa dei
conti sarà durissima e la scissione, a quel punto, inevitabile. Il
bersaniano Federico Fornaro si sente trattato «come un reietto» e si
prepara allo scenario peggiore: «Se resteremo fuori dalle liste vorrà
dire che è il segretario a buttarci fuori». Il divorzio tra Bersani e
Renzi come il sanguinoso «che fai, mi cacci?» di Fini contro Berlusconi?
«Siamo a un passaggio violento — è lo sfogo amaro del senatore di
Genova —. Renzi ha usato la Leopolda da capocorrente, aizzandoci i suoi
contro. Ma noi non usciamo, abbiamo due piedi ben piantati nel Pd».
Alle
10.30 a Palermo Bersani reagirà con forza alle accuse che l’ex
segretario, come ha confidato ad alcuni parlamentari, ritiene «scandite
per strappare applausi, insultando l’Ulivo e la storia della sinistra».
Al premier lancerà un avviso in vista della sfida finale del 4 dicembre:
«Attento a mettere le dita negli occhi alla nostra gente, attento a
offendere un pezzo di Pd e chi dovrebbe votarti, perché per prendere
qualche voto a destra rischi di perderne troppi a sinistra». Ma se il
piano è fare spazio alla destra di Denis Verdini, Fornaro pronostica una
memorabile sconfitta: «Se davvero Renzi si illude di vincere solo
guardando a destra e usando il lanciafiamme contro di noi, rischia di
prendere una facciata storica». Stessa drammatica canzone intona Miguel
Gotor: «Usa la Costituzione come grimaldello, il suo slogan è “divisi
per dividere”. Altrimenti avrebbe placato i suoi supporter».
Ettore
Rosato giustifica il «Fuori! Fuori!» con il «continuo coro di
delegittimazione di Matteo che arriva dalla minoranza». Alla Leopolda,
assicura il capogruppo, non c’era nulla di organizzato, anche i fischi
contro D’Alema sarebbero scattati in modo spontaneo tra i militanti:
«Mentre dirigenti della sinistra del Pd non fanno altro che sparare
contro chi ha vinto le primarie». Ed Ernesto Carbone accusa la minoranza
di «aver scelto da tempo di schierarsi sul No», altrimenti avrebbero
sottoscritto «l’ottimo documento finale sull’Italicum» uscito dalla
commissione Guerini. E se i renziani accusano gli ex ds di usare il
referendum per tentare la spallata, loro rilanciano: «Che partito
democratico è, se si butta fuori chi non è d’accordo col capo?». Prima
che un’altra notte dei lunghi coltelli abbia inizio, Cuperlo compare al
Tg1 e concede un buffetto ai compagni di un tempo: «Sbagliate le parole
di Renzi, serve rispetto per chi c’era prima».