Corriere 7.11.16
La stagione dei veleni
di Sergio Romano
Barack
Obama ha prolungato di qualche anno la durata di una leadership
declinante. Non è amato da un grande numero dei suoi connazionali e si
lascia alle spalle una eredità ineguale, fatta di mezze vittorie,
iniziative generose e discutibili successi. Ma ha trasmesso al mondo
l’immagine di un uomo che non ha collusioni imbarazzanti e sbaglia, come
gli è accaduto frequentemente, in buona fede.
L’ immagine del
potere nei prossimi anni, chiunque vinca, sarà alquanto diversa. Donald
Trump è un palazzinaro libertino e volgare, un evasore fiscale che
esibisce sfacciatamente i suoi vizi e parla ai peggiori istinti della
società americana. Hillary Clinton conosce il mestiere della politica e
ha alcune innegabili doti professionali. Ma ha anche segreti che
custodisce morbosamente, è molto legata agli ambienti di Wall Street e
ha un tesoretto elettorale probabilmente alimentato da persone e gruppi
che non esiteranno a reclamare i frutti del loro investimento. Non è
rassicurante, per gli americani e per i loro alleati, che un ex
segretario di Stato parli di politica estera a porte chiuse di fronte a
una accolta di banchieri e venga compensato con più di duecentomila
dollari. Quale può essere il corrispettivo di tali somme se non la
implicita promessa di favori futuri?
Trump e Clinton sono molto
diversi, ma appartengono entrambi a una democrazia fondata sul denaro.
Esiste una legge degli Stati Uniti che prevede un finanziamento pubblico
per i candidati alla Casa Bianca, ma obbliga il beneficiario a non
accettare fondi privati al di sopra di una certa soglia; ed è per questa
ragione poco utilizzata. Vi era anche una norma che limitava
l’ammontare dei finanziamenti privati, ma è stata cassata dalla Corte
Suprema nel 2010: una manna per le lobby e per i candidati che sono
pronti a scambiare la propria rispettabilità contro i mezzi finanziari
necessari al successo elettorale. Non è sorprendente. Da qualche anno il
costo delle campagne elettorali cresce vertiginosamente: 5 miliardi di
dollari nel 2008, 6 miliardi nel 2012, una somma forse superiore nel
2016.
Vi è un altro aspetto di queste elezioni che non dobbiamo
trascurare. Il giorno dopo, gli Stati Uniti continueranno a essere un
Paese dilaniato dallo scontro velenoso di due candidati che si sono
battuti sino all’ultimo insulto e potrebbero azzuffarsi d’ora in poi
anche nelle aule dei tribunali. Ciascuno dei due, vincitore o sconfitto,
lascerà sul terreno un «partito dell’odio», pronto a riprendere la
battaglia non appena ne avrà l’occasione.
Questa situazione non
può lasciare l’Europa indifferente. Non è stato facile convivere, negli
ultimi quindici anni, con un Paese che ha destabilizzato l’intero Medio
Oriente e ha contribuito con le sue leggi alla nascita di una finanza
cinica e sregolata. E non sarà facile convivere d’ora in poi con un
Paese avvelenato da sospetti e risentimenti. Dobbiamo prepararci ad
affrontare circostanze in cui non sarà né possibile né saggio fare
affidamento sugli Stati Uniti. E dobbiamo evitare che il vuoto lasciato
dal declino della loro leadership venga riempito dalle ambizioni e
dall’avventurismo di altre potenze. La risposta a questo problema può
essere data soltanto da una Europa unita e solidale. Mai ne abbiamo
avuto altrettanto bisogno.