mercoledì 30 novembre 2016

Corriere 30.11.16
L’Occidente ha smarrito l’armonia e l’Antimoderno ne attende il crollo
di Paolo Rastelli

«Il fatto che oggi io sia considerato quasi un pensatore, la dice tutta su quanto siamo caduti in basso». Finisce così, con un sorriso un po’ modesto e un po’ beffardo, una chiacchierata con Massimo Fini, giornalista e saggista da sempre osservatore eretico della società contemporanea e soprattutto del suo modello di sviluppo. L’occasione è offerta dall’uscita per Marsilio di un’opera omnia, La modernità di un antimoderno . Tutto il pensiero di un ribelle che riunisce tutti i suoi libri di contenuto filosofico, da La Ragione aveva torto del 1985 a Il ribelle dalla A alla Z del 2006, cui fanno compagnia Elogio della guerra (1989), Il denaro «Sterco del demonio» (1998), Il vizio oscuro dell’Occidente . Manifesto dell’Antimodernità (2002) e Sudditi. Manifesto contro la democrazia (2004).
L’essenza del pensiero di Fini viene spiegata così da Salvatore Veca nella prefazione al volumone di oltre mille pagine: «Un esercizio del sospetto e del dubbio nei confronti degli effetti della Modernità sui nostri modi di vivere e convivere», da cui discende «una condanna senza appello di buona parte delle nostre credenze di contemporanei a proposito di democrazia e mercato, di scienza e tecnologia, di progresso civile e di sviluppo di opportunità o chances di vita». Veca fa anche notare che la critica alla modernità non è una novità nel panorama culturale post positivista (basti pensare a Isaiah Berlin). Ma la critica di Fini non è «interna» al sistema ereditato dall’Illuminismo per correggerne gli eccessi di razionalismo, ma è quella di un osservatore esterno per il quale l’oggetto analizzato è totalmente altro da sé. Insomma, la critica non mira a correggere, ma a condannare in toto un modello di sviluppo in continua ascesa che, quando non potrà più espandersi, finirà per implodere.
Quindi domandare a Fini se coinvolge nella sua critica radicale anche, per esempio, la penicillina, che è frutto della modernità tanto quanto un iPhone ma ha salvato milioni di vite, sembra non avere alcun senso: se io penso che il mio modello di sviluppo sia condannato, il fatto di guarire la gente dalla polmonite diventa secondario. Invece lui mi sorprende, con una risposta tutt’altro che millenaristica. «Io credo fortemente che questo sistema prima o poi collasserà. Ma se collassa tra 50 anni, non frega niente né a me, né a te, né a milioni di altri esseri umani. Il problema è che questo sistema ci fa vivere male qui e ora. Certo — prosegue — in Occidente evitiamo fatiche bestiali che un tempo erano comuni, ma nel mondo di ieri c’era un’armonia complessiva maggiore che abbiamo perso, ricevendo in cambio un aumento vertiginoso della velocità dello sviluppo che non può che logorarci, perché ci fa sentire sempre in ritardo».
La critica di Fini, va notato, è prepolitica (almeno in termini canonici), nel senso che capitalismo e marxismo per lui sono equivalenti, hanno la stessa origine e puntano agli stessi obiettivi: il fatto che alla fine da una catena di montaggio esca un computer o una locomotiva è solo un dettaglio. Per questo lui da sempre è simpatetico con i movimenti di rottura, come la prima Lega di Umberto Bossi e ora il Movimento 5 Stelle. «Grillo mi è simpatico, anche se a suo tempo faceva uno spettacolo in parte ispirato a La Ragione aveva torto , in cui distruggeva un computer e poi è finito con Casaleggio. I Cinquestelle sono al di là di destra e sinistra e i miei discorsi anche: dopo due secoli e mezzo destra e sinistra non sono più in grado, secondo me, di capire le esigenze dell’uomo, che non sono economiche, ma soprattutto esistenziali, perché il tempo e il valore della vita sono più importanti del lavoro».