Corriere 30.11.16
Un pontefice romano a Cuba. Il diavolo e l’acqua santa
risponde Sergio Romano
Nella
sua lunga vita Fidel Castro ha incontrato tre Papi. Nel settembre 2015
ormai in pensione e in maniera molto informale ricevette papa Francesco,
incontro preceduto tre anni prima da quello con Benedetto XVI. Ma
l’evento che è passato alla Storia è stata la visita di un ormai anziano
e stanco Giovanni Paolo II avvenuta nel 1998. Il Leader Maximo lo
accolse con tutti gli onori in giacca e cravatta. Il Pontefice parlò di
diritti civili e durante l’omelia a L’Avana pronunciò più volte la
parola «Libertà». La visita fu ricompensata con il ripristino del Natale
come festa civile. Dietro l’apparenza sempre cordiale di questi
incontri, i doni e i calorosi saluti, quanto duri sono stati gli effetti
del castrismo nella vita dei cattolici a Cuba? Nel corso dei recenti
anni sono state in qualche maniera facilitate le espressioni di culto?
Michele Massa
Caro
Massa, Fidel Castro aveva studiato in un istituto dei gesuiti e non
aveva avuto, nel corso della gioventù, una formazione strettamente
marxista. Il suo rapporto con l’Unione Sovietica, dopo la definitiva
rottura delle relazioni con Washington, era stato un matrimonio di
convenienza. Per sopravvivere, a 150 chilometri da un Paese ostile ed
enormemente potente, il leader cubano aveva bisogno di un adeguato
protettore e dovette ritenere che il suo rapporto con l’Unione Sovietica
sarebbe stato tanto più stretto quanto più l’isola avesse accettato di
esibire tutti i segni distintivi dei regimi comunisti. Ma le riforme
fallite di Michail Gorbaciov e il crollo del sistema sovietico
all’inizio degli anni Novanta ebbero per la economia cubana effetti
disastrosi. Privato degli sbocchi commerciali che l’Urss offriva ad
alcuni prodotti tipici dell’isola (soprattutto zucchero e sigari) e
degli aiuti finanziari provenienti da Mosca, il castrismo corse il
rischio di essere travolto da una crisi di regime.
Furono queste
le ragioni per cui Castro dovette rivedere i rapporti internazionali
dell’isola e, nel novembre del 1996, approfittò di una Assemblea
generale della Fao (l’organizzazione mondiale dell’Agricoltura e della
Alimentazione) per un viaggio a Roma. Non vi sarebbe stata un’udienza
papale poco più di un anno dopo, tuttavia, se anche Giovanni Paolo II
non avesse avuto interesse a stabilire migliori rapporti con Cuba.
Nell’America del Sud, in quegli anni, la Chiesa Romana sapeva di essere
minacciata da due pericoli. Il primo era la Teologia della Liberazione,
una sorta di marxismo cristiano che Giovanni Paolo II, probabilmente,
detestava più del comunismo; il secondo era lo straordinario successo
delle confessioni evangeliche in terre che erano state lungamente
dominate dalla Chiesa cattolica. Una più forte presenza a Cuba le
avrebbe permesso di resistere meglio a questo duplice pericolo.
Giunsero
anni, più tardi, in cui Castro, dopo l’ascesa al potere di Hugo Chavez a
Caracas, poté contare sulla straordinaria generosità del caudillo
venezuelano e sulle sue forniture di petrolio a prezzo scontato. Ma la
morte di Chavez e la crisi venezuelana hanno chiuso il rubinetto degli
aiuti e costretto i fratelli Castro ad approfittare della presenza di
Barack Obama alla Casa Bianca per fare un passo decisivo verso la
riconciliazione con gli Stati Uniti: un evento in cui probabilmente papa
Francesco ha avuto una parte importante. Il prossimo capitolo della
storia cubana comincerà nel 2018 quando Raul Castro, come ha annunciato
dopo la morte del fratello, rinuncerà a chiedere un nuovo mandato.