Corriere 30.11.16
Una costituzione da rispettare
di Giovanni Maria Flick
Presidente emerito della Corte costituzionale
Caro
direttore, nessuno può ritenere intangibile la seconda parte della
Costituzione. Bisogna superare gli inconvenienti del bicameralismo
paritario; conciliare governabilità e rappresentatività, unità dello
Stato e autonomia territoriale. In una parola, riorganizzare i pubblici
poteri. Ma il modo in cui viene fatto può riflettersi in modo positivo o
negativo sui diritti garantiti nella prima parte. Per questo se ne
discute, su opposti versanti; ma con toni spesso aberranti, che
mortificano i rispettivi argomenti.
Il nuovo Senato, per le
modalità elettive e il doppio incarico; per le competenze attribuite e i
rapporti con la Camera, non ha sufficiente rappresentatività, né poteri
effettivi nel dialogo Stato-Regioni. I procedimenti legislativi tra i
due rami, tutt’altro che semplificati, sono complessi e produrranno
incertezze e conflitti. Il superamento delle competenze legislative
«concorrenti», introdotte dalla infelice riforma del 2001, non risolve i
potenziali conflitti a causa della clausola sulle «disposizioni
generali e comuni» attribuite allo Stato in molte materie di sua
competenza esclusiva. I privilegi delle regioni a statuto speciale, di
cui sono in gran parte venute meno le ragioni storiche, non sono stati
intaccati. Anzi, è stata rafforzata la diseguaglianza rispetto alle
regioni ordinarie.
Non siamo chiamati a valutare le singole
modifiche «tecniche» (difficili da conoscere e comprendere) quanto a
scegliere tra il cambiamento a tutti i costi, «ora e subito», inclusi
gli errori ammessi anche dai sostenitori del Sì; e il rifiuto di un tale
cambiamento, per cercarne subito dopo uno più corretto, nel quale
recuperare gli aspetti positivi di cui la riforma non è priva:
l’attribuzione alla sola Camera del voto di fiducia; i limiti alla
decretazione d’urgenza e i tempi certi sui disegni di legge del governo;
l’abolizione del Cnel.
Io ho optato per il No; l’ho motivato
pubblicamente in più occasioni, per contribuire al confronto delle idee e
alla scelta di ciascuno. Ma questo discernimento è stato reso faticoso
dalla personalizzazione del voto e dal radicalismo, dalla
contrapposizione tra infondate e reciproche profezie di sventura: caos
sui mercati, spread, ingovernabilità, involuzione autoritaria,
pregiudizio del ruolo di garanzia del presidente della Repubblica.
Bisogna
leggere la riforma serenamente, direi laicamente, guardando al
contenuto delle modifiche e disinteressandosi della propaganda enfatica e
fastidiosa. Ognuno si faccia un’idea propria, leggendo, ascoltando e
parlando, senza lasciarsi intimidire o scoraggiare dai dettagli tecnici e
senza doversi improvvisare uomo politico. Basta essere cittadino
elettore e scegliere ciò che appare più giusto e appropriato
nell’interesse del Paese e anche delle proprie aspettative.
Il Sì o
il No di ciascuno rappresentano una scelta comunque opinabile. Ma sarà
sempre una scelta legittima, meritevole di rispetto da parte di tutti;
in ogni caso una scelta «giusta», perché rende effettivo il principio
fondamentale della sovranità esercitata dal popolo, da ogni suo
componente, nel rispetto della Costituzione (su questo immutabile).
Tra
le forme di partecipazione diretta del popolo sovrano, il referendum
costituzionale è certo la più alta. Se si svolge in modo responsabile,
civile e democratico, il risultato è perfino meno importante. I governi
non dovrebbero andare a casa per il risultato di un referendum
costituzionale; ma neppure dovrebbero restare in carica a motivo di un
referendum costituzionale. Hanno il diritto e il dovere di restare fino a
quando godono della fiducia del Parlamento o fino al termine della
legislatura. Aver alterato questo rapporto tra politica, istituzioni e
Costituzione è l’errore imperdonabile commesso dal governo.
Mi
auguro che la partecipazione (benché non sia necessario alcun quorum)
sia numerosa ed esprima «solo» un giudizio sulla parziale (ma fin troppo
ampia) modifica della Costituzione del 1948. Scelta non facile, ma non
più difficile di quella che seppero compiere i nostri padri e nonni il 2
giugno 1946. La Repubblica seppe unire il Paese; speriamo che le
contrapposizioni su una riforma sbagliata non riescano a dividerlo.