mercoledì 30 novembre 2016

Corriere 30.11.16
Salvatore Settis
Un progetto invasivo La cosa più grave? Abolisce gli elettori»
intervista di Alessandro Trocino

ROMA «Questa riforma è negativa per le sorti della democrazia». Salvatore Settis, archeologo, già direttore della Normale di Pisa, è sicuro del suo No.
Non esagera, professore? C’è davvero un rischio di deriva autoritaria?
«Non amo questa formula. Ne preferisco un’altra: riduzione della democrazia. Basti pensare che si cambiano 47 articoli in una volta, contro i 43 cambiati in 68 anni di Repubblica».
Tanti: ma dipende da come si cambiano.
«Il mio No deriva interamente da una lettura attenta della riforma, che considero molto invasiva e fatta male».
Il cambiamento peggiore?
«L’abolizione degli elettori. Mi riferisco al Senato. Ma anche ai consigli provinciali, considerando che le Province non vengono abolite, visto che resta il prefetto».
Non trova superato il bicameralismo perfetto?
«Con questa riforma non si elimina il bicameralismo: lo si rende più confuso. Trovo preoccupante e complicata la nuova dinamica Camera-Senato. La riforma contempla ben 22 fattispecie di leggi, che il Senato deve discutere e approvare. A queste se ne aggiungono altre su Comuni, Regioni ed Europa».
Il Senato non voterà più la fiducia.
«Vero, ma si produrrà una forte asimmetria. La Camera, grazie all’Italicum e a un premio di maggioranza irragionevole, vedrà 340 deputati del partito al governo. Il Senato cambierà di continuo composizione e maggioranza, allo scadere del mandato di sindaci e consiglieri regionali, provocando un rallentamento dei lavori».
Lei avrebbe abolito il Senato?
«Si poteva, così come si doveva dimezzare il numero dei deputati. Comunque sia, il Senato, se esiste, deve essere eletto dai cittadini».
Non le piace nulla della riforma?
«Alla parità dei sessi è difficile opporsi. Ma sono principi già previsti in Costituzione. Piuttosto, sono molto deluso dalla riforma del Titolo V».
Non andava fatta?
«Al contrario. Ma invece di porre rimedio, si sono fatti altri pasticci. Le faccio un esempio. Finora allo Stato competeva la “tutela” dei Beni culturali e del paesaggio, alle Regioni la “valorizzazione”. Di qui la conflittualità. La riforma, giustamente, accorpa le due competenze e le assegna allo Stato. Peccato che poi dia alle Regioni la “promozione”. Ne deriveranno altri conflitti per distinzioni di lana caprina».
Renzi si dimetterà se vince il No?
«Spero che non lo faccia. E che governi senza alibi, affrontando temi come l’evasione fiscale, che tolgono credibilità all’Italia molto più di altri».
In questi giorni volano insulti e argomentazioni eccessive.
«Mi trovo spesso a disagio, anche con alcuni del fronte del No. Ma Renzi non doveva legare le sue sorti alla riforma e annunciare, in caso di sua sconfitta, l’arrivo di cavallette e peste bubbonica. Errore simmetrico a chi vota No sperando di mandarlo via».
Se dopo Renzi non c’è il diluvio, cosa c’è? Un governo tecnico?
«Non credo, deciderà il capo dello Stato. Ma nel Pd ci sono molti in grado di guidare un governo: Letta, Franceschini, Padoan. È statisticamente improbabile che su 60 milioni di persone solo Renzi sia in grado di fare il premier».