Corriere 30.11.16
I silenzi del paese reale
di Antonio Polito
Renzi
ha ragione nell’affidare alla «maggioranza silenziosa» le sue speranze
di rimonta nel referendum. Fino a quando hanno potuto, i sondaggi ci
hanno infatti detto che tra chi ha già deciso di votare, e cioè tra gli
elettori più politicamente motivati, il No prevale. Al premier non resta
dunque che provare a stanare un pezzo di quella grande massa di
italiani saltuariamente astensionisti, scarsamente politicizzati,
socialmente piccoli borghesi, geograficamente di provincia, di solito
sensibili a un richiamo d’ordine: gente che ha paura delle avventure e
che si mobilita per impedire cambiamenti radicali e repentini. Tra di
loro gli indecisi sono ancora molti. Per loro suonano le sirene degli
allarmi su banche e mercati, un po’ come era successo alla vigilia delle
elezioni americane e del referendum britannico.
In Occidente
questo elettorato è noto sotto il nome di «maggioranza silenziosa» dalla
fine degli anni Sessanta in poi, quando, prima in Francia dalla parte
di de Gaulle e poi negli Stati Uniti dalla parte di Nixon, fu
protagonista di una vera e propria resistenza alle idee del Maggio di
Parigi e del Sessantotto americano. In Italia, seppur tardivamente,
prese poi una connotazione più schiettamente anticomunista, fino a
sfociare nel 1980 nella famosa «marcia dei quarantamila» di Torino, che
segnò l’inizio della fine per il Pci di Berlinguer.
M olti critici
di sinistra hanno rimproverato a Renzi la contraddizione, per un leader
riformista, di cercare voti tradizionalmente conservatori e solitamente
di destra. È una critica poco sensata. In un referendum, quando si
tratta di convincere la metà più uno degli elettori, non ci si può fare
scrupoli: accozzaglie e contaminazioni sono d’obbligo. Oltretutto questo
elettorato è da sempre il Santo Graal di ogni leader perché fa vincere
le elezioni. E se la sinistra italiana ha qualcosa da rimproverarsi è
proprio di non essere mai riuscita a conquistarne la fiducia (magari è
da notare il progressivo slittamen-to nella retorica elettorale del
campo renziano: da sfida per cambiare la Costituzione a battaglia per
conservare il governo).
Ma la domanda cruciale, la cui risposta
determinerà non solo l’esito del referendum ma forse anche il futuro
della politica italiana per molti anni a venire, è se questa
«maggioranza silenziosa» esista ancora. C’è da capire insomma se
quell’universo di ceto medio affezionato allo status quo, teso a
proteggere proprietà e risparmi, e a difendersi dai sommovimenti sociali
e culturali, sia ancora maggioranza nella nostra società; e se in ogni
caso non sia diventato nel frattempo tutt’altro che silenzioso, ma anzi
sempre più attratto da chi urla. In fin dei conti, è proprio questa la
mutazione politica che l’impoverimento dei ceti medi ha introdotto in
tutto l’Occidente: non è stata certamente silenziosa la base sociale che
ha dato la vittoria a Trump o alla Brexit, e per diventare maggioranza
non ha esitato ad allearsi con le minoranze più estremiste.
Farà
eccezione l’Italia? Ecco che cosa ci dirà il referendum, ben oltre il
merito della riforma e il destino del governo. Ci dirà se esiste ancora
un elettorato capace di stabilizzare il sistema quando è chiamato in
difesa dell’ordine costituito, come è accaduto nel 1948, nel 1976, nel
1994, in tutti i tornanti decisivi della storia nazionale. Oppure se
nella stiva del Paese reale quell’elettorato si è ormai sciolto dai suoi
legami, e si sposta di volta in volta dove lo porta il movimento delle
onde, senza timore di destabilizzare la barca. Non sarebbe la prima
volta che questo accade. La prima fu nel 2013, e il governo Renzi nacque
appunto per mettere fine a quell’anomalia. Se si verificasse di nuovo
tre anni dopo non sarebbe più un’anomalia, e anzi certificherebbe il
fallimento della missione del governo. Ma soprattutto annuncerebbe un
vero e proprio riallineamento storico della politica italiana, in cerca
di un nuovo centro di gravità permanente.