Corriere 29.11.16
Renzi e l’ipotesi delle dimissioni anche se vince
E il premier ha già un nuovo Italicum
L’idea di rafforzare il governo. Sistema di voto diviso tra uninominale e proporzionale
di Maria Teresa Meli
A
Palazzo Chigi, dove stanno arrivando nuovi sondaggi, si valuta una
nuova ipotesi: cioè che Renzi si dimetta anche nel caso di una vittoria
del Sì. Con la motivazione che con le riforme istituzionali il governo
avrebbe esaurito il mandato affidato nel 2014 dal capo dello Stato.
Intanto spunta la bozza di un nuovo Italicum.
ROMA Comunque vada a
finire nelle urne, c’è una novità per il dopo referendum: esiste già
una bozza di possibile riforma dell’Italicum. Una legge che prevede metà
seggi assegnati con i collegi uninominali e metà con il proporzionale
(senza preferenze ma con un listino bloccato), e con un premio di
maggioranza attorno al 15 per cento per la lista o coalizione che prende
più voti.
È un modello sul quale ci sarebbe il «via libera» anche
di Silvio Berlusconi perché permetterebbe all’ex presidente del
Consiglio, da una parte, di mettere insieme un’alleanza con Lega e
Fratelli d’Italia e, dall’altra, di presentare ancora il simbolo di
Forza Italia. Denis Verdini, che di Berlusconi è stato il braccio destro
e sinistro, e che di leggi elettorali si è occupato in tutte le sue
trattative per conto del Cavaliere (nella scorsa legislatura con Pier
Luigi Bersani e poi con Matteo Renzi) è convinto che il leader di Forza
Italia accetterà una riforma di questo tipo.
Nel Partito
democratico, al di là delle aperture della destra, ritengono che con un
sistema elettorale simile il Pd potrebbe dare vita a un’alleanza con i
centristi di Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini, con Scelta civica
ed Ala e con la sinistra di Pisapia e Zedda. Nel proporzionale ognuno
andrebbe per conto proprio, ma sull’uninominale si unirebbero le forze.
Non solo: nel Partito democratico sono convinti che, nonostante il
pressing elettorale dei Cinque Stelle («Grillo si sente già capo del
governo», ironizza in questi giorni Renzi), con questo sistema ci
sarebbero buonissime probabilità di conquistare la maggioranza. Ma c’è
anche un’altra novità: a Palazzo Chigi, dove stanno arrivando nuovi
sondaggi che vengono esaminati con grande attenzione, si sta valutando
una nuova ipotesi. Cioè che Renzi si dimetta anche nel caso di una
vittoria del Sì. Già, pure con un risultato del genere il premier
sarebbe pronto a salire al Quirinale e a dare le proprie dimissioni. Con
un’argomentazione ben precisa: questo governo è nato, nel 2014, con il
chiaro e inequivocabile mandato di Napolitano di realizzare una riforma
istituzionale, e ora che la riforma è realtà, l’esecutivo considera
esaurito il compito.
È chiaro che in questo caso non sarebbero
dimissioni per andarsene, ma piuttosto per rafforzare sia il proprio
ruolo che il governo con una nuova fiducia, e per allargare la
maggioranza e mettere nomi nuovi in alcuni dicasteri. Il che non
significa, ovviamente, che la componente di Verdini sarebbe
rappresentata nell’esecutivo, ma che farebbe il suo ingresso ufficiale
in maggioranza. Però l’idea è quella di «sparigliare», per usare un
termine caro a Renzi, cioè di riaprire i giochi anche nella sinistra,
quella interna e pure quella di Sel, dove la linea oltranzista di Nicola
Fratoianni viene sempre più criticata. Una vittoria del Sì, secondo i
renziani, provocherebbe uno smottamento pure in quell’area.
Ma il
realismo induce Matteo Renzi e i suoi a vagliare anche il cosiddetto
piano B. In questo caso tutto dipende dalle proporzioni della sconfitta.
Se dovesse perdere di un’incollatura inevitabilmente il presidente del
Consiglio rimarrebbe al centro della scena politica. E gli sarebbe
difficile rifiutare un reincarico per costituire un governo che si
porrebbe come obiettivo principale quello di varare una riforma
elettorale.
Del resto, il presidente della Repubblica Sergio
Mattarella con più di un interlocutore non ha mai nascosto il suo
pensiero. Secondo il capo dello Stato bisogna arrivare sino alla fine
della legislatura e bisogna farlo con questo governo.