Corriere 29.11.16
D’Alema a sorpresa: Matteo? Dovrò difenderlo, come Craxi
di Tommaso Labate
ROMA
Se dovesse vincere il No, «può anche capitare che Renzi debba
difenderlo io. Questo è il Paese che allo sconfitto riserva il calcio
dell’asino, è già capitato in passato...». La sala contiene duecento
posti a sedere. Ma dentro ci sono forse più di trecento persone.
Campobasso, palazzo della Provincia, martedì sera. Il pubblico che sta
ascoltando Massimo D’Alema, ospite d’onore di un’iniziativa sulla
riforma della Costituzione organizzata dal deputato pd Danilo Leva, che
fino a quel momento aveva tributato all’ex premier ovazioni e applausi,
per un attimo ammutolisce. Come se in trecento, contemporaneamente,
avessero capito male. Ma come, lo scenario è quello in cui il 4 dicembre
vince il No e l’indomani D’Alema si mette a difendere Renzi?
E
così l’ex presidente del Consiglio, dal palco, riannoda i fili del
discorso e sfoglia l’album dei ricordi. Ragiona sulla maggioranza del
partito e dei gruppi parlamentari, sui «tantissimi che sono renziani
solo per convenienza, opportunismo e conformismo». Si lascia scappare,
senza fare nomi, che «qualcuno sta già prendendo appuntamenti con me per
il dopo referendum». E poi arriva al parallelo. «Mi è già capitata, in
passato, una situazione simile. All’epoca di Berlinguer, io ero tra
quelli che la stampa chiamava i “colonnelli berlingueriani”. Chissà
perché, poi, “colonnelli”...». Il loro nemico numero uno era Bettino
Craxi. E — ricorda D’Alema — «quando Craxi cadde, mentre molti dei suoi
fedelissimi si avventavano su di lui come cani pur di salvarsi e di
rifarsi una verginità, toccò a me difenderlo. Lo stesso Craxi, tramite
un ambasciatore, mi avrebbe poi fatto sapere che aveva apprezzato».
La
sala continua a trattenere il fiato. D’Alema fa anche il nome
dell’ambasciatore tra lui e Craxi. «Era Yasser Arafat», il presidente
dell’Olp. «Quando Craxi stava per morire, io, che ero premier, tentai
una trattativa umanitaria con la Procura di Milano per farlo tornare a
curarsi in Italia. Non ci riuscii. Vedete, molti sostengono che Renzi
sia simile a Craxi. Forse nel piglio del potere, nel modo di gestire
l’autorità... Ma Craxi era di sinistra, Renzi non lo è. Craxi
frequentava Arafat, Renzi frequenta Netanyahu», il premier conservatore
israeliano.
Nella serata molisana D’Alema, forse per la prima
volta, ammette l’amarezza provata per il distacco di alcuni dei suoi.
Non fa nomi, non cita Cuperlo o Orfini. «Nella vita non ho mai fatto
battaglie partendo dalla compagnia. Per le cose in cui ho creduto, ho
combattuto. In ogni caso, ci sarà un “dopo” in cui si tornerà a
discutere. E, tra i renziani, discuterò più volentieri con chi ha
sostenuto Renzi per convinzione che non con quelli che l’hanno sostenuto
per convenienza». I compagni di una vita, invece, ci sono e ci saranno
sempre. Anche quelli con cui lo scontro è stato aspro. «Con Veltroni,
per esempio, ho un ottimo rapporto. Ci sentiamo ancora oggi, le nostre
famiglie sono vicine e le nostre figlie sono molto amiche, vivono
entrambe in America e hanno già votato per il referendum. Mia figlia ha
votato No, seguendo me. La figlia di Veltroni ha votato Sì, come il
padre». Segno, insomma, di come si possa stare da diverse parti della
barricata senza che i rapporti personali vengano interrotti o
compromessi. «Noi», scandisce D’Alema, «abbiamo sempre fatto così. E
mai, mai nella nostra storia, abbiamo portato in politica la
rottamazione delle persone». Quello, sussurra, «è un lascito di Renzi».