Corriere 29.11.16
Cannonate e lacrime In fila con i cubani per l’ultimo addio a Fidel
dalla nostra inviata all’Avana Sara Gandolfi
È
un serpente lunghissimo che parte dall’Avenida Paseo e si muove lento e
sinuoso sotto il sole fino a Plaza de la Revolución. Ci sono i ragazzi
dell’università dove studiò il giovane e irrequieto Fidel, uguali a
tutti gli studenti del mondo anche se le loro magliette non hanno marchi
famosi. Ci sono i nonni che ricordano i primi gloriosi anni
dell’avventura castrista e ogni tanto rallentano il passo degli altri.
Ci sono le famiglie con mamme armate di ombrellino e bambini che il
«grande vecchio» l’hanno studiato solo sui libri di storia. «Eroico,
generoso, buono, modesto, trionfante, paterno…», le voci ripetono in
coro la litania che da venerdì notte, quando è stata annunciata la morte
del «lider máximo», riempiono la radio e la tv di Stato. Il dissenso
tace. All’Avana, almeno ieri, sembravano tutti fidelisti.
«Trump
può dire tutto quello che vuole, Fidel ha superato undici presidenti
americani. Passerà anche Trump, e noi saremo ancora qui, fieri e
socialisti», sbotta Manuel, sollevando in alto la sua bandiera. Come
lui, centinaia di migliaia di cubani ieri hanno risposto ancora una
volta obbedienti all’ordine di regime: firmare non un libro nero del
lutto ma il giuramento di fedeltà agli ideali del leader scomparso. Un
testo tratto dal discorso che Castro fece il 1° maggio 2000, all’apice
dello scontro con gli americani per il piccolo Elian González:
«Rivoluzione è cambiare tutto ciò che deve essere cambiato… è difendere i
valori in cui crediamo a costo di qualsiasi sacrificio….Rivoluzione
significa unità….».
Pablo ha 90 anni e procede baldanzoso. «Per
sempre fedele», assicura. Ha firmato il giuramento nel suo quartiere —
sono più di 1.600 i punti predisposti tra scuole, ospedali, biblioteche —
«ma poi ho visto le immagini in Tv di chi veniva qui al mausoleo José
Marti, come potevo mancare». Man mano che ci si avvicina all’obelisco
che domina dall’alto la spianata, le voci si spengono, diventano meno di
un brusio, l’altoparlante invita a zittire i telefonini. I cubani
obbediscono. Dentro il memoriale, tante rose e foto del giovane
«compañero». Molti piangono passandoci accanto. Oggi arriveranno i
discorsi politici, l’inchino dei capi delle delegazioni diplomatiche,
verso sera ci sarà un atto pubblico sulla piazza dove Fidel arringava la
folla e mercoledì mattina la teca con le sue ceneri si metterà in
viaggio, 900 chilometri, verso Santiago di Cuba, il viaggio a ritroso
della Carovana della Libertà del 1959. Ma oggi la piazza è del popolo.
Qualcuno
era già in fila alle quattro del mattino, assicura un poliziotto, ma il
serpente ha cominciato a muoversi soltanto quando dal castello del
Morro, di fronte all’Avana vecchia, sono partite le prime ventun
cannonate a salve. Andranno avanti fino a domenica, giorno del funerale.
Carlos
Manuel Lopez è qui con le due sorelle, la figlia e le nipoti. «Per
Fidel e per nostra madre, che abbiamo perso quest’anno e che ci ha
sempre portati fin da piccoli a tutti gli eventi del Comandante. Lei ha
dato l’anima e il corpo alla rivoluzione, si è perfino sposata con i
vestiti da miliziana», racconta. La figlia Claudia, 19 anni appena
compiuti, è ancor più convinta: «Fidel è un amico, una persona di
famiglia, è grazie a lui che a Cuba noi tutti possiamo andare
all’università. Non è la figura mitologica che racconta la stampa
straniera, era un uomo ma grandissimo». Il circo dei mass media è
arrivato in massa sull’Avana, mandando in tilt la burocrazia dell’isola.
Il Centro de prensa internacional straripa di reporter accasciati per
ore sui gradini in attesa di un pass che non arriva e di qualche notizia
sottobanco. Qualcuno fa circolare voci di trame oscure, che nessuno può
confermare o smentire. Un americano assicura convinto che «a Miami
qualcosa si sta già muovendo». Parole senza riscontri. La professoressa
Sofia Reyes alza le spalle: «La mafia degli esuli di Miami non riuscirà a
far nulla se noi resteremo uniti, se non faremo cadere la spada della
nostra indipendenza», assicura dalla coda di Plaza de la Revolución,
citando l’eroe dell’indipendenza cubana José Marti.
Cento metri
più in là, gli universitari gridano «Fidel, Fidel, que tiene Fidel que
los imperialistas no pueden con el», ma cos’ha il Comandante
invincibile? Anche Andy, secondo anno di psicologia, è qui per rendergli
omaggio. Ma ora, «andiamo avanti con le riforme, implementiamo il
programma economico in corso — chiede, facendosi portavoce di tanti suoi
coetanei —. In fondo anche Lenin diceva che si possono includere
elementi di capitalismo…».
È quello che chiedono a gran voce i
sempre più numerosi «cuentapropistas», i piccoli imprenditori
dell’isola, ma anche molti businessmen americani, terrorizzati dalla
possibile marcia indietro della futura Casa Bianca.