Corriere 29.11.16
Comunque vada si porrà il problema di ricucire
di Massimo Franco
Fioccano
espressioni come «atterraggio morbido» e «ricucitura». Hanno in comune
la consapevolezza che, comunque vada a finire il referendum
istituzionale, sarà necessario ridurre la frattura creatasi in Italia.
La domanda è chi lo potrà fare in caso di sconfitta di Matteo Renzi; ma
anche se un premier vittorioso saprà rinunciare a una logica da resa dei
conti. Renzi sembra intuirlo, quando promette di voler lavorare «tutti
insieme» se vince il Sì; e negando dimissioni prima del 4 dicembre.
Il
risultato provvisorio consegna un Paese sovraesposto, che rischia di
essere additato come responsabile della crisi europea quanto la Brexit o
l’elezione di Donald Trump: anche se il loro impatto non è paragonabile
a quello della consultazione italiana. Un risultato che sancisse la
sconfitta del governo verrebbe letto come una conferma dell’ondata
antisistema in Occidente. L’elenco delle istituzioni europee che si
stanno schierando col Sì confermano una preoccupazione diffusa nelle
classi dirigenti; e una scelta obbligata a favore del governo. Renzi
registra il nervosismo dei mercati. E lo avalla.
Dice di sentire
sempre di più che la «partita è apertissima: ne vedremo delle belle». Si
dichiara ottimista: intravede la vittoria. Ma aggiunge, prudentemente,
che contano i «mercati rionali», più di quelli finanziari. L’appoggio
del mondo percepito come «nomenklatura», sia essa finanziaria o
politica, può rivelarsi un’arma a doppio taglio: sebbene gli allarmi
sulle banche lanciati anche dal Financial Times facciano breccia tra chi
teme conseguenze economiche negative. «Non mi aspettavo questa tensione
altissima», ammette l’ex presidente della Commissione Ue, Romano Prodi.
E non gli piace.
Prodi è tra i più convinti della necessità che
«dal 5 dicembre l’Italia possa vivere un periodo di ricucitura». Lui
stesso, pur tentato dal Sì, non si è espresso ufficialmente: come se non
volesse contribuire alla spaccatura del Paese. Il ministro dei Beni
culturali, Dario Franceschini, ripete che non si vota sul premier ma su
«un’Italia stabile o ingovernabile». In realtà, Renzi e referendum
tendono a coincidere, e diventano insieme un elemento di forza e di
debolezza. Chi vuole dare un colpo al governo è tentato di optare per il
No. Il contenuto delle riforme rimane sullo sfondo.
Le
opposizioni accusano Renzi di avere radicalizzato la consultazione; e
minacciano ricorsi su un voto all’estero sospettato di brogli: anche se
il M5S è alle prese con una storiaccia di firme false in Sicilia. Il
vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, arriva a dire che Renzi
avrebbe «un atteggiamento eversivo. La smetta di attaccare la Corte
costituzionale...». Si riferisce alla bocciatura della riforma Madia da
parte della Consulta. Ma nella cerchia renziana gli attacchi del governo
alla Corte sono visti come un moltiplicatore di consensi per il Sì.