Corriere 25.11.16
Una breve storia del Nativismo americano
risponde Sergio Romano
Forse
sbaglio, ma mi sembra che fra le tante ragioni che possono spiegare la
vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane, la più
importante è stata la paura di molti elettori di vedersi sottrarre dagli
immigrati i benefici concreti della cittadinanza. Ovviamente c’è una
parte di razzismo, vi è la paura di perdere l’identità culturale
concepita in modo molto vago peraltro, ci sono comunità «invase» da
latino-americani. Ma come ha detto non so quale elettore del Kentucky:
«Questi sono qui da anni, non parlano neanche l’inglese e pretendono di
avere tutti i benefici della nostra società». C’è sotto qualcosa che
forse noi non abbiamo bene afferrato?
Giovanna Soldati Roma
Cara signora,
D
ietro le paure sfruttate dalla campagna elettorale di Donald Trump vi è
una corrente politica e culturale degli Stati Uniti che risale ai primi
decenni dell’Ottocento e si chiama Nativismo. Il fenomeno riemerge alla
superficie con diverse caratteristiche ogniqualvolta una nuova
immigrazione solletica gli umori nazionalisti della società americana.
Fu anticattolico quando la grande carestia irlandese, verso la metà
dell’Ottocento, rovesciò sulle sponde americane una massa di contadini
affamati. Fu antitedesco quando gli immigrati provenienti dalla
Germania, prima della nascita di un grande Reich nel 1871, dimostravano
una forte inclinazione a creare comunità separate e autosufficienti. Fu
antisemita alla fine dell’Ottocento quando gli ebrei polacchi,
galiziani, ucraini e bielorussi cominciarono ad attraversare l’Atlantico
in grande numero. Fu anti italiano quando i migranti provenienti
dall’Europa meridionale erano spesso accusati di portare con sé i germi
della camorra e dell’anarchia.
Dopo la fine della Grande guerra,
mentre gli isolazionisti impedivano al governo degli Stati Uniti di
firmare i trattati di Versailles, i nativisti ottennero nel 1921 una
legge che fissava temporaneamente a poco più di 350.000 il numero dei
migranti provenienti soprattutto dall’Europa. Vi furono resistenze nei
settori economici della società americana che avevano bisogno di forza
lavoro. Ma la legge straordinaria del 1921 divenne l’Immigration Act del
1924 e la quota fu ridotta a 164.187 persone, distribuite fra i Paesi
d’emigrazione secondo criteri che avrebbero permesso di conservare, per
quanto possibile, gli equilibri etnici della società americana.
La
globalizzazione ha avuto l’effetto di rendere quei criteri
anacronistici. Ma ha anche risvegliato, soprattutto verso i «latinos»,
tutti i vecchi pregiudizi del nativismo americano.