giovedì 17 novembre 2016

Corriere 17.11.16
La logica arrischiata di una vittoria di misura
di Massimo Franco

Non si può dire che la discussione si stia concentrando sui contenuti del referendum. Più ci si avvicina al 4 dicembre, più il merito delle riforme è affiancato e sovrastato da temi e toni adatti a una campagna elettorale. L’obiettivo sembra solo quello di raggiungere «il 50,1 per cento dei voti», ha ricordato ieri il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi. Traguardo del governo e dei suoi avversari, impegnati in una logica di annientamento reciproco. Ma c’è da chiedersi se un’ottica del genere possa soddisfare chi ritiene la Costituzione una carta fondamentale condivisa dal popolo nel suo complesso.
Tutti evocano un clima sereno. È difficile, tuttavia, intravederlo non solo di qui al 4 dicembre ma soprattutto dopo. I buoni propositi di non politicizzare la consultazione si stanno polverizzando. «Io dico No per mandare via questo governo e andare a votare alle politiche al più presto», fa sapere Beppe Grillo sul suo sito. E il premier Matteo Renzi gira l’Italia facendo mirabolanti promesse su sgravi fiscali e sfide all’Europa. La sensazione finale che questi atteggiamenti comunicano è di una tentazione trasversale al populismo; e di una pulsione quasi irrefrenabile a esagerare la posta in gioco.
È come se i destini non dei fronti referendari ma dell’Italia fossero legati a un esito o all’altro.
L’orizzonte temporale sembra restringersi alle urne del 4 dicembre; al massimo, a elezioni anticipate nei primi mesi del 2017. Le tensioni che queste strategie alimentano, però, rischiano di essere di più lunga durata. Renzi sta accentuando i toni anti-europei per ridurre la sacca degli indecisi e pescare consensi nell’elettorato genericamente «anti-sistema». Usando un argomento condivisibile, la sordità politica dell’Ue verso l’immigrazione, sta mandando a Bruxelles segnali ruvidi.
Ma per quanto si possa comprendere la valenza elettorale di alcune sue uscite, lasciano lividi istituzionali. E promettono di minare la credibilità di un governo osservato finora con una miscela di diffidenza e fiducia. Ieri la Commissione Ue ha inserito l’Italia tra i sei Paesi sospettati di incrinare il Patto di stabilità con la manovra finanziaria. È vero che il giudizio definitivo sui conti italiani arriverà a gennaio: segno che non si vogliono creare difficoltà a Renzi in vista del referendum.
La prospettiva, però, è che a gennaio ci sia un irrigidimento, non maggiore comprensione. L’Ue è troppo debole per tollerare spinte centrifughe. Il premier ieri ha rimediato alla gaffe della bandiera europea scomparsa dallo sfondo del suo studio, facendola ricomparire in un comizio in Sardegna: mossa apprezzabile. Uno dei motivi per i quali il M5S è giustamente visto con allarme è il suo antieuropeismo. Inseguirlo su quella strada confonde gli elettori. E rafforza i nemici dell’Italia nelle istituzioni continentali.