Corriere 17.11.16
Post verità (o bugie?) per tutti
di Pierluigi Battista
Come
cambiano rapidamente gli umori, la sensibilità pubblica, le parole.
Abbiamo da poco onorato il mito del fact-checking, l’idea di un
riscontro puntuale e meticoloso della veridicità delle affermazioni
divulgate da un politico, ma adesso stiamo sprofondando con rapidità
inesorabile nella «post verità». Secondo gli Oxford Dictionaries «Post
Truth», post verità, è diventata l’espressione chiave di un anno che ha
conosciuto una dopo l’altra, secondo una sequenza da brivido, la
sorpresa Brexit e la sorpresa Donald Trump. E cosa accomunerebbe le due
sorprese? La scoperta che il consenso di massa è sempre più incardinato
su informazioni non veritiere, se non deliberatamente falsate, e che
però vengono considerate vere malgrado la loro dimostrabile
infondatezza. Dimostrabile, se si perdesse tempo e fatica per
verificarne la natura fallace o menzognera. Invece è sempre più diffusa
la tendenza a non chiedere alcuna dimostrazione. Chi la spara grossa
vince, la politica post fattuale celebra i suoi trionfi. La democrazia
diventa prigioniera di qualcosa che contraddice la massima di ogni
politica democratica: «conoscere per deliberare». Deliberare. Ma
conoscere?
La politica è sempre più impastata di suggestioni,
impressioni, qualcosa che richiama emozioni e rancori, pregiudizi e
simboli, ma poca, scarsissima fattualità. Sarebbe buona cosa che non si
facesse un uso militante della nozione di «post verità» dipingendola
come monopolio esclusivo dei cosiddetti «populisti».
Senza andare
indietro nel tempo, quando la politica ideologica aveva anch’essa
pochissimi rapporti con la bruta e cruda fattualità e molto con
l’alterazione delle ideologie e delle astratte visioni del mondo, quante
volte anche da parte dell’establishment antipopulista si è ceduto alla
tentazione della suggestione non veritiera. Quanta enfasi allarmistica e
tutt’altro che fattuale ha alimentato la propaganda contraria alla
Brexit in cui si dipingevano scenari catastrofici in caso di vittoria
del «leave»? Così come il controllo fattuale avrebbe potuto verificare
che la minaccia di Trump di deportare oltre il confine americano almeno
tre milioni di clandestini ha come base d’appoggio la già avvenuta
espulsione di un paio di milioni di immigrati irregolari durante i due
mandati di Obama, e che quindi l’emozione negativa riversata su Trump è
antitetica all’emozione positiva suscitata dalla precedente
amministrazione democratica. Ma non c’è dubbio però che siano i
movimenti antisistema a sentirsi a proprio agio nei vapori della
politica «post verità». E c’è una ragione politico-psicologica per
questo squilibrio: il complottismo antisistema si fonda sul sospetto
gridato come fosse verità negata che le forze del «sistema» occultino
per i loro loschi interessi i fatti «veri». È il «sistema» che nasconde
la pericolosità dei vaccini, è il sistema che non vuole ammettere,
schiava dei luridi interessi farmaceutici, che il bicarbonato curi il
cancro. È il sistema che racconta la «menzogna dell’11 settembre». Si
crede alle colossali falsità dei politici populisti perché si vuole
credere in una verità alternativa a quella ufficiale. È questo il veleno
culturale che circola nella politica di massa del ventunesimo secolo,
perché il supporto di Internet e dei social, oltre a dare una
meravigliosa pluralità di informazioni a portata di mouse, satura la
Rete di una quantità enorme di informazioni false, distorte, o
addirittura inventate di sana pianta. Ecco il trionfo della post verità.
A essere sfidata è la politica ma anche il sistema dei media, che
dovrebbe moltiplicare i suoi sforzi di accuratezza nel racconto dei
fatti, ma troppo spesso non lo fa, lasciando spazio alla «post verità».