mercoledì 16 novembre 2016

Corriere 16.11.16
I 40 relitti in fondo al Mar Nero
«Lavoravano per i veneziani»
di Paolo Virtuani

Navi ottomane e bizantine scoperte per caso vicino alla Bulgaria. Le ipotesi degli esperti
In inglese si dice «serendipity». È quando si sta cercando una cosa e invece inaspettatamente se ne trova un’altra, meglio di quello che si cercava. Per esempio quando si parte per mappare antiche linee di costa e si trovano i resti perfettamente conservati di una quarantina di navi naufragate tra il IX e il XIX secolo nel Mar Nero.
I ricercatori del Centro per l’archeologia marina dell’Università di Southampton che, insieme ad altre istituzioni scientifiche, hanno dato vita al Maritime Archaeology Project (Map), volevano mappare gli antichi paesaggi davanti alle coste della Bulgaria, sommersi quando il livello dei mari aumentò al termine dell’ultima era glaciale circa 12 mila anni fa. «Non volevamo credere ai nostri occhi quando abbiamo visto sul fondo del mare le navi di epoca bizantina, medievale e ottomana», ha detto tuttora incredulo John Adams, capo del progetto. Alcuni resti appartengono a modelli di navi conosciuti solo attraverso fonti storiche, ma che non erano finora mai stati studiati direttamente dagli esperti.
I resti si sono preservati benissimo perché sotto i 150 metri le acque del Mar Nero sono anossiche, non hanno ossigeno, hanno temperature prossime allo zero e quindi gli organismi non possono degradare le strutture in legno. I dati ottenuti possono aprire nuovi orizzonti sulle antiche rotte marittime nel Mar Nero. Secondo le prime indagini archeologiche è possibile che alcune di queste navi rifornissero gli empori e le colonie che nel medioevo Venezia e Genova (e per un breve periodo Pisa) avevano stabilito nel Mar Nero per il controllo dei commerci con l’Oriente e in particolare sul ramo più a Nord della Via della Seta che sfociava sui porti che si affacciavano su quello che all’epoca era conosciuto come «Mare Maggiore».
I ricercatori del Map hanno potuto utilizzare una strumentazione sofisticata di ultima generazione. Le immagini dei relitti sono state ottenute grazie a un sistema di fotocamere tradizionali e di scanner laser montati a bordo di veicoli sottomarini automatici (Rov) che hanno scandagliato i fondali sino a 800 metri di profondità. Le foto sono state poi elaborate tramite software di fotogrammetria tridimensionale per ricavare modelli accurati. Per arrivare alle immagini dei relitti sono stati processati milioni di punti in cui sono state divise le migliaia di fotografie riprese dai Rov. Il modello che si è ottenuto è stato sovraimposto con i colori e le strutture dei relitti ricavati dalle foto per completare una rappresentazione il più accurata possibile. Un’operazione che è durata giorni anche per i sei computer superveloci impiegati che hanno lavorato 24 ore su 24.