Corriere 14.11.16
Contatti con Farage e il clan Le Pen Arriva l’«Internazionale populista»?
Gli euroscettici del Vecchio Continente cercano canali per collaborare con Washington
di Giuseppe Sarcina
NEW
YORK La notte della vittoria si è festeggiato fino a tardi nell’Hotel
Hilton, a Manhattan. Nella ressa degli ospiti, e degli imbucati, si
aggirava una folta rappresentanza del populismo europeo. C’era il
presidente dell’Fpö, il partito dell’estrema destra austriaco,
Heinz-Christian Strache, con un eurodeputato dello stesso partito, Georg
Mayer. Poi Janice Atkinson, eurodeputata dell’Ukip, il partito
indipendentista britannico, con altri politici, funzionari belgi,
olandesi. E un paio di francesi in rappresentanza della leader del Front
National, Marine Le Pen (sua nipote, Marion Maréchal-Le Pen, avrebbe
avuto contatti con la campagna di Trump per future collaborazioni).
Tutti euforici, tutti convinti che con Donald Trump alla Casa Bianca si
aprirà una stagione di travolgenti successi per le forze antisistema del
Vecchio Continente.
La foto simbolo di questo stato d’animo
politico e psicologico è quella scattata sabato sera nella penthouse del
neo presidente, al 58esimo piano della torre dorata. Blazer blu,
camicia bianca sbottonata: Trump sorride accanto a Nigel Farage,
l’artefice della Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Ue. Farage ha
seguito direttamente gran parte della campagna elettorale di Trump: ha
tenuto anche un breve discorso in un comizio in Mississippi il 25 agosto
2016; si è fatto vedere dietro le quinte del dibattito presidenziale a
St.Louis, lo scorso 9 ottobre. Una presenza costante, forse anche una
ricerca di visibilità personale, visto che ieri il governo di Londra,
guidato dall’euroscettica Theresa May, ha tenuto a precisare che «Farage
non rappresenta nessuno».
In questa fase Trump e il suo
«transition team», il comitato che gestisce il passaggio di consegne
alla Casa Bianca, sta preparando un nuovo schema di relazioni
internazionali. Nel team, a cominciare dal capo, il vicepresidente Mike
Pence, non ci sono figure che possano vantare antiche consuetudini con i
leader stranieri. Molti di loro li hanno visti solo in tv o sui
giornali. Stanno cominciando adesso, partendo da due punti fermi: la
Russia di Vladimir Putin e il governo israeliano guidato da Benjamin
Netanyahu. Putin ha cercato e trovato un filo diretto con Trump, al
netto di tutti i sospetti sulle manovre per boicottare le elezioni,
imputate a Mosca dai servizi segreti Usa. L’intesa con il governo di
Gerusalemme, invece, è promossa dai finanzieri che appoggiano Trump,
come Steven Mnuchin, provenienti da settori della comunità ebraica
filo-Netanyahu. Non c’è dubbio che, a questo punto, i populisti europei
possano chiudere il cerchio. A Putin sono stati attribuiti finanziamenti
a diverse formazioni della destra. Voci che hanno toccato gli
estremisti tedeschi, ungheresi, greci, bulgari e così via. Anche se
finora l’unica prova di questi traffici è un prestito di 9 milioni di
euro concesso da una banca privata russa al Front National di Le Pen.
Nella
prima fase della campagna, tutti i partiti tradizionali europei hanno
attaccato o ignorato Trump. Un vuoto colmato dai populisti o dai gruppi
antisistema. La processione di piccoli e grandi «sovversivi» comincia
agli inizi del 2016. Tutti cercano di accreditarsi come partner della
«nuova rivoluzione Usa». Per l’Italia si fa avanti Matteo Salvini, che
riesce a farsi un selfie con «The Donald», anche se poi lo stesso Trump
dichiarerà in un’intervista al Corriere di non ricordarsi di
quell’episodio. A metà luglio, nella Convention repubblicana a
Cleveland, si presentarono solo l’onnipresente Farage e l’olandese Geert
Wilders. Ora a Bruxelles e in diverse capitali europee si teme che le
affinità elettive tra Trump e i populisti possano trasformarsi in
un’onda d’urto capace di stravolgere la mappa politica del Vecchio
Continente. Ci sarà presto l’occasione di una verifica. Le istituzioni
europee contatteranno nei prossimi giorni il «transition team» per
concordare un incontro a Washington, prima di Natale. Certo, non
aiuteranno le parole del presidente della Commissione Jean-Claude
Juncker: «Con Trump perderemo due anni di tempo». Il ministro degli
Esteri italiano Paolo Gentiloni consiglia «prudenza». Vedremo se basterà
.