Corriere 13.11.16
Paul Beatty:
«Bene scendere in strada spero che l’ardore non si esaurisca. Per i neri potrà solo andare peggio»
intervista di Serena Danna
Durante
le primarie Paul Beatty, il primo scrittore americano ad aver vinto il
Man Booker Prize con Lo Schiavista (Fazi editore) ha sostenuto Bernie
Sanders. Proprio durante le settimane di entusiasmo da #FeelTheBern ,
l’autore nato a Los Angeles nel 1962 ha capito che il miliardario che
stava scalando il Partito repubblicano aveva chance di arrivare alla
Casa Bianca.
Come mai?
«Le persone con cui parlavo erano
tutte arrabbiate e piene di paura. Nominavano sempre Donald Trump mentre
Hillary Clinton veniva menzionata raramente, solo per offenderla.
Nessuno scandalo riusciva a scalfire la fede dei suoi supporter.
Un’amica mi ha raccontato di una collega che faceva in continuazione
battute su Trump per testare la reazione degli altri. Alla fine l’ha
votato. Una strategia comune a molti ex liberal di New York».
A proposito di liberal, tanti stanno vivendo la vittoria di Trump come un lutto. Lei?
«Io
non mi sento mai veramente a mio agio nel Paese. Certo, adesso ancora
meno, ma non posso dire che sia una sensazione completamente nuova. In
questo momento per è molto interessante la relazione con gli studenti
(insegna alla Columbia University, ndr ), ascoltarli e vedere come
queste elezioni condizioneranno la loro scrittura e personalità. In
generale, posso dire che è la prima volta che li vedo così desiderosi di
aprirsi. Solo quando una storia da globale diventa personale si riesce a
coglierne l’impatto».
Delle tante incognite sulla presidenza Trump, quale la incuriosisce di più?
«Mi
interessa vedere chi lo appoggerà del mondo intellettuale e degli
affari. Al momento gli esponenti della cultura, ma anche delle sfere più
alte dell’economia e della finanza, si sono tenuti ben alla larga da
Trump. Se pensiamo alle figure politiche del passato, anche le più
controverse come Mussolini, potevano contare su intellettuali di
riferimento. Quali saranno i suoi? Ci saranno?».
Da afroamericano,
cosa pensa del fatto che dopo il primo presidente nero ne arrivi uno
che ha fatto affermazioni razziste nei confronti delle minoranze?
«Dopo
due legislature di un partito è certo che arrivi l’altro. In questo
caso però non è il partito, ma la persona a sorprendere. Quell’uomo non
ha mai lavorato davvero in vita sua e adesso si ritrova ad avere un
incarico complicato. Temo che possa lasciare il timone al suo vice Mike
Pence, il quale potrebbe essere ancora più dannoso sul piano dei
diritti. Per quanto riguarda gli afroamericani, le nostre condizioni
possono peggiorare certo, ma sono comunque cattive anche se adesso c’è
una conversazione nel Paese. I neri hanno sempre sofferto e avrebbero
continuato a soffrire anche con Clinton. L’America è una nazione
violenta».
Cosa pensa delle proteste in corso?
«Sono molto
contento che ci siano. Le persone non vogliono essere messe a tacere ed è
un bene che scendano in strada a dire la loro. Mi auguro solo che
questo ardore non si esaurisca in fretta. Ci abituiamo velocemente a
quello che non ci piace».
Come intellettuale sente di aver avuto o di avere una responsabilità?
«Credo che la mia responsabilità sia nella scrittura».