Corriere 13.11.16
Massimo D’Alema
«Renzi si è posto fuori dai valori PD. Se passa il Sì nascerà un partito suo»
L’ex premier: in ogni caso dopo il 4 dicembre non mi occuperei più di politica in Italia
intervista di Dario Di Vico
«Una
cosa è la campagna elettorale, altro è governare. Vedremo Trump alla
prova e comunque non sarà un arbitro incontrollato. Non dimentichiamo il
Congresso, il Senato, il peso del Pentagono, del dipartimento di Stato,
della Cia e, non ultime, le divisioni tra i Repubblicani». Massimo
D’Alema è cauto e vede il tratto saliente del voto Usa nella capacità di
Trump di sfondare tra i perdenti della globalizzazione. «Per la
sinistra è la sconfitta dell’idea che le elezioni si vincono al centro.
Così ci sono sfuggiti le periferie e i poveri, le forze tradizionali del
lavoro e le nuove. Non solo nel Wisconsin, ma anche a Roma. È la
conclusione del percorso di una Terza Via che non ha saputo leggere le
nuove diseguaglianze e ha visto troppo spesso la sinistra a braccetto
con il potere economico, lontana dalla base sociale e sindacale».
Anche lei è stato clintoniano.
«Considero
una disgrazia la sconfitta di Hillary ma non chiudo gli occhi sugli
errori. In America con Obama è aumentata l’occupazione, ma anche
precariato, bassi salari e super sfruttamento. È da questa miscela che è
nata la rivolta contro le élite. E comunque non sottovaluto i rischi
della politica estera di Trump. Come può pensare di dar via libera a
Israele di annettere Gerusalemme? Si accentuerebbero i conflitti con il
mondo islamico e non ne abbiamo proprio bisogno. E poi come fa a
pensare, dopo una svolta simile, di accordarsi con Putin? Vedremo, anche
cosa farà l’Europa».
Non è un gran momento per il presidente Juncker.
«Juncker
ha reagito con grande dignità all’elezione di Trump interpretando in
modo efficace il punto di vista dell’Europa. Anche per questo motivo non
ha senso indebolire la Commissione e le istituzioni europee. Le colpe
sono dei governi nazionali e di alcuni in particolare. Se fossi in Renzi
allenterei la polemica con Bruxelles».
Ma Renzi contesta le politiche per l’austerità. Lei no?
«Condivido,
non da oggi, la sua critica all’austerità. Ci sono però due modi di
combatterla: il primo è chiedere più soldi per i singoli Paesi, l’altro è
promuovere scelte comuni su infrastrutture, ricerca, politica
industriale. Temo che Renzi abbia scelto la prima strada con il
risultato di aumentare il deficit per di più con un impatto assai
modesto sulla crescita, che ci vede agli ultimi posti in Europa. Bisogna
battersi per rafforzare la Ue, non per rilanciare gli egoismi
nazionali. E le priorità sono due: una politica della difesa comune e un
salto nella cooperazione tra i Paesi pronti a farlo. Meglio un’Europa a
due velocità che non la stagnazione».
Nel libro di Vespa Renzi sostiene che le sue critiche sono figlie della mancata nomina a ministro degli Esteri della Ue.
«Fino
al 4 dicembre non discuterò di retroscena. A tempo debito avrò modo di
ricostruire l’intera vicenda, con ampia dovizia di particolari».
Aspettiamo.
Ma a questo punto, con il rischio che l’ondata di rivolta anti élite si
allarghi, votare Sì al referendum non stabilizza ed evita nuovi traumi?
«Non
sono stato io a convocare il referendum e dargli la valenza di un
plebiscito. Avremmo potuto esprimerci su singoli quesiti e non si
sarebbe spaccato il Paese. Sarebbe bastato leggere la Carta dei Valori
del Pd laddove si dice che “il partito si impegna a ristabilire la
supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità contro i colpi
di mano delle maggioranze del momento mettendo fine alla stagione delle
riforme costituzionali imposte dai governi a colpi di maggioranza”. È
Renzi che si è posto fuori dai valori del Pd. Eppure votò No anche lui
nel 2005 contro la riforma Berlusconi che prevedeva abolizione del
bicameralismo e riduzione dei parlamentari. Sono contro i plebisciti
oggi come ieri e voterò contro la revisione costituzionale di Renzi. La
Carta non si riforma con il voto di metà del popolo italiano, altrimenti
si stabilisce un precedente e domani potremo avere la Costituzione di
Beppe Grillo».
E della lettera inviata da Renzi agli italiani che vivono all’estero cosa pensa?
«Bisogna
vigilare sul voto all’estero, anche perché il meccanismo si presta a
manipolazioni e brogli. Da ex ministro degli Esteri spero che tutti i
diplomatici italiani ricordino di essere al servizio dello Stato e non
del governo. E poi, nel merito, la riforma toglie agli italiani
all’estero spazio di rappresentanza. Non eleggerebbero più i loro
senatori».
Che effetti avrebbe sul Pd la vittoria del Sì? Una scissione?
«Nascerebbe
il PdR, il partito di Renzi. Tra i 2 e i 3 milioni di nostri elettori
si sono silenziosamente scissi dal Pd, e il sentimento di estraneità
crescerebbe. Di più non le so dire. Non ho né l’età né la volontà di
fondare altri partiti».
Ma resterà iscritto al Pd?
«Sono
iscritto al mio circolo anche per solidarietà e affetto verso il
gruppetto ormai esiguo delle militanti che lo fanno sopravvivere. Dopo
il referendum ho intenzione di tornare ai miei studi brussellesi, quindi
non mi occuperei di politica italiana».
Se dovesse vincere il No avremmo le dimissioni di Renzi e un vuoto di potere.
«Non credo che si debba dimettere».
Ma lei non si dimise per la sconfitta in una consultazione regionale?
«Siamo
diversi. Se restasse a Palazzo Chigi con più capacità di ascolto e meno
arroganza potrebbe persino creare le condizioni per rilanciarsi».
Se invece si dimettesse, penso che lei vedrebbe bene un governo Padoan.
«Il
presidente Mattarella saprebbe indicare una personalità super partes.
Non speri di tirarmi fuori un nome. Ci sarà bisogno di un governo capace
di allentare le tensioni e di prendere l’iniziativa per una legge
elettorale condivisa».
Non c’è già una proposta elaborata da un comitato del Pd? E condivisa da Gianni Cuperlo, che lei conosce bene.
«Il
referendum deciderà la sorte dell’Italicum, non un comitato del Pd. In
quel foglietto sono enunciati principi confusi: delineano una legge
elettorale non condivisibile. Rappresenta solo una via d’uscita per 4-5
persone che non se la sentivano di votare No».
Aumentano però gli ex dalemiani per il Sì: oltre Cuperlo ricordo Vacca, Velardi, Rondolino, Romano, Orfini, Gualtieri.
«Non
ho mai voluto che esistesse la nozione stessa di dalemiano e si è
rivelata una scelta saggia. L’unico dalemiano, peraltro critico, sono
io».
Battute a parte, con il No le riforme andranno in soffitta per sempre.
«
Chi lo dice? In questi 70 anni, come ricorda il professor De Siervo, si
sono fatte 16 modifiche della Costituzione e 20 leggi costituzionali.
Inoltre, esiste già un testo di nuova riforma costituzionale elaborato
da parlamentari di schieramenti diversi, come Quagliariello e Zoggia, e
che in concordia propone una riduzione dei parlamentari ancora più
drastica, l’abolizione della navetta legislativa Camera-Senato e il
principio che il suffragio universale serve a scegliere le persone.
Penso che anche da parte dei Cinque Stelle non dovrebbe maturare
un’ostilità preconcetta e quindi in 6 mesi si può approvare».