Corriere 10.11.16
Fronte del Sì in ansia. «Ma i sondaggi sbagliano»
La campagna referendaria e gli effetti del voto Usa
D’Alimonte: giocherà il sentimento anti establishment
di Monica Guerzoni
ROMA
Il Sì e il No tra paura e speranza. La vittoria di Trump piomba sulla
campagna referendaria, manda all’aria i sondaggi e ridisegna le
strategie. I leader populisti interpretano la clamorosa sconfitta di
Hillary Clinton come un presagio di vittoria, con Beppe Grillo convinto
che l’onda americana porterà uno tsunami politico sui nostri lidi: «Non
avete visto i nostri menomati morali che sono andati a prendere pacche
sulle spalle dai perdenti?». E Matteo Salvini, che volerà a Mosca anche
per spiegare le ragioni del No, si prepara a lanciare un’Opa sulla
leadership del centrodestra.
I dirigenti del Pd si sono svegliati
con il fantasma della sconfitta al fianco e sperano che il terremoto
geopolitico a stelle e strisce induca gli italiani a un voto
«responsabile», che non mandi all’aria le riforme e il governo. In
Consiglio dei ministri ieri girava un sondaggio che dava i No al 56% e i
Sì al 44%, e il capo del governo lo ha esorcizzato così: «Speriamo che i
sondaggisti italiani stiano prendendo un’altra cantonata...». Parole in
cui le opposizioni leggono ansia e imbarazzo e che alcuni renziani, al
contrario, interpretano come una speranza di vittoria. «Alla fine chi
raccoglie il vento del cambiamento vince», seminava ottimismo lo stesso
Renzi ieri pomeriggio alla Camera. Ma Alessandra Moretti teme un voto
anti-sistema e si augura «che non prevalga la pancia», mentre Dario
Parrini fa leva sulle paure: «Serve un’Italia stabile, al riparo da
salti nel buio e avventure».
Alla luce del nuovo scenario e dopo
l’energico endorsement di Renzi per Obama e Hillary, le pulsioni
centripete nel Pd sembrano sopite. Debora Serracchiani fa appello alla
«responsabilità» della minoranza, perché «cessino le piccole beghe
personali e tutta l’attenzione si rivolga al Paese reale». Roberto
Speranza raccoglie l’invito a «diminuire il livello della
drammatizzazione». Bersani invece pensa che l’errore capitale di Renzi
sia stato trasformare il referendum in un giudizio di Dio: «La sinistra
con Sanders avrebbe vinto, perché lui non tiene due piedi dentro
l’establishment. Se lo fai apri dei varchi alla destra e questi
sentimenti peseranno anche il 4 dicembre».
A gelare i dem è la
tesi del politologo Roberto D’Alimonte. L’ideatore dell’Italicum ritiene
che Trump sia arrivato alla Casa Bianca per il sentimento anti-élite
del popolo e della classe media: «Questo fattore è contro Renzi perché è
lui, per molti, a rappresentare l’establishment». E dunque il voto al
referendum «è una occasione per punirlo o per cacciarlo». Alessia Rotta,
responsabile comunicazione del Pd, spiega le contromisure: «Dobbiamo
convincere che non siamo l’establishment e che il Sì è un baluardo di
democrazia». D’ora in avanti, come ha rivelato ai 200 sindaci chiamati a
Roma da Delrio e Rughetti, il premier farà campagna a colpi di sorrisi.
Insisterà nel dire che la riforma elimina la casta e nel paventare il
ritorno della vecchia guardia: «Dicono No perché sto loro sulle scatole o
perché la riforma non va bene?».