il manifesto 10.11.16
“Non cambia niente”. Ma Renzi ora teme l’impatto sul voto
Trump
 e il referendum. "L’unico collegamento che c’è con le elezioni 
americane è il fallimento dei sondaggisti. Speriamo che continuino così 
fino al 4 dicembre", dice il presidente del Consiglio
di A. Fab.
ROMA
 «Penso di no, non c’è collegamento tra il risultato delle elezioni 
americane e il referendum costituzionale», sostiene Matteo Renzi verso 
le dieci di sera quando si collega in diretta streaming da palazzo Chigi
 per rispondere alle domande che gli arrivano dai social. Anzi sì, un 
collegamento il presidente del Consiglio se lo augura: «Da Brexit a 
Trump, il sondaggi di questi tempi non ne azzeccano una. È auspicabile 
che questo trend continui fino al 4 dicembre».
Se su Donald Trump 
Renzi non vuole sbilanciarsi – il massimo che arriva a dire è che si 
tratta di «un fatto inedito nella storia americana» – anzi prevede che 
«Trump presidente sarà diverso da Trump candidato», il segretario Pd 
parla volentieri della legge elettorale americana. «In base a quel 
modello – spiega – c’è un risultato diverso tra il voto popolare (i voti
 assoluti, nei quali Clinton è prevalsa, leggermente, ndr) e il 
risultato negli stati (cioè la conquista da parte di Trump di un numero 
superiore di grandi elettori, ndr). È la democrazia, bellezza – aggiunge
 – e negli Usa quella legge elettorale è accettata da tutti». Sembra il 
modo per rivendicare il modello ultra maggioritario proposto 
dall’Italicum con ballottaggio, ma Renzi inserisce il ragionamento nel 
quadro dell’accordo tra la maggioranza Pd e Cuperlo. Laddove si parla 
anche di (possibile) ritorno ai collegi elettorali. «I collegi – dice 
Renzi – sono un’ottima idea, mi convince moltissimo». E poi aggiunge, 
trascurando al solito di aver imposto l’Italicum con la fiducia: «Sono 
state le forze politiche a non aver voluto i collegi, vedremo se 
qualcuno ha cambiato idea». In ogni caso dopo il referendum.
Per 
quanto dribblato – in favore di un lungo discorso sui rapporti tra 
l’Italia e l’Europa – il ragionamento sull’impatto della vittoria di 
Trump sul referendum non esce dalle analisi politiche. Quella di Beppe 
Grillo è elementare. Spiega che la vitoria di Trump – per la quale il 
leader 5 stelle esulta – aiuterà il No al referendum perché Renzi «ha 
preso pacche sulle spalle dal perdente», cioè Obama. L’analisi dei 
renziani ottimisti è appena un po’ più raffinata: dallo shock americano 
si avvantaggerebbe invece il Sì perché identificato con il governo e 
dunque con una reazione di prudenza e stabilità. Ma il presidente del 
Consiglio, insolitamente poco loquace fino a tarda sera quando ha 
iniziato il suo dialogo in rete, con i giornalisti a Montecitorio non si
 era sbilanciato: «Davvero vi state chiedendo che effetto avranno le 
elezioni americane sul referendum?».
Naturalmente sta facendo lo 
stesso anche lui, probabilmente condividendo l’imbarazzo del suo super 
consigliere americano Jim Messina, già consulente (vittorioso) di Obama e
 poi della campagna (perdente) per il «remain» nel referendum inglese 
sulla Brexit. Messina infatti nella notte elettorale ha lanciato due 
tweet che col senno del poi possono essere imbarazzanti. Nel primo 
scriveva che gli Stati uniti si stavano domandando, come sua nipote, 
perché bisognasse aspettare tanto la vittoria (considerata certa) di 
Hillary. Nel secondo esultava per i primi dati «really good» dalla 
Florida, uno stato alla fine decisivo per la sconfitta di Hillary.
Il
 successivo silenzio di Messina è probabilmente la conseguenza di questi
 infortuni, così come l’insolita pigrizia sui social network delle 
legioni renziane, abituate a non perdere un colpo, può essere attribuita
 al momento di difficoltà. Del resto ieri per tutta la giornata non c’è 
stato alcun pensiero di palazzo Chigi da amplificare, fino a che in 
tarda serata nel #matteorisponde sono tornati gli argomenti della 
consueta propaganda, interrotta solo per un giorno (oggi Renzi è di 
nuovo in tour elettorale). Anche a palazzo Chigi sanno bene che lo shock
 americano porta almeno un argomento di merito pesante in favore del No,
 quello del pericolo di aumentare i poteri del governo rinunciando a 
limiti e controlli. E almeno un segnale che sta preoccupando il Sì, la 
conferma cioè della forza delle tentazioni anti establishment. Renzi 
dimostra di esserne ben consapevole affrontando per primo, nel dialogo 
con gli ascoltatori, un argomento minore della riforma, che però circola
 abbondantemente sul web ed è rilanciato spesso da Salvini. «La storia 
del nuovo articolo 117 è una bufala, non è vero che introduciamo in 
Costituzione il rispetto “dei vincoli derivanti dall’Ordinamento 
dell’Unione europea”. Era già così, cambiamo solo l’espressione 
“ordinamento comunitario”. Non c’è nessuna novità», giura.
 
