Avvenire 17.11.16
Elif Shafak: «Nella mia Turchia la salvezza verrà dalle donne»
intervista di Chiara Zappa
Per
la scrittrice, che apre BookCity a Milano, «nel mio Paese non mancano
figure femminili forti in ogni settore, dall’economia alle arti, ma non
c’è una cultura di sorellanza
Trentacinque donne assassinate in
Turchia nel mese di ottobre, lo stesso numero a settembre, mentre
dall’inizio dell’anno la macabra conta ha già raggiunto i 272
femminicidi. È un bollettino di guerra quello stilato dalla Kadin
Cinayetlerini Durduracagiz Platformu, un’organizzazione che tenta di
difendere i diritti femminili in un Paese dove la violenza riversata
contro la metà della società meno tutelata, dalle leggi ma soprattutto
dalla mentalità corrente, appare pericolosamente fuori controllo. «Le
donne continuano ad essere uccise dalle persone più vicine a loro quando
vogliono prendere decisioni che riguardano le proprie vite», afferma il
rapporto dell’organizzazione. Al centro del nuovo romanzo di Elif
Shafak, acclamata scrittrice di origine turca autrice tra l’altro di La
bastarda di Istanbul, La casa dei quattro venti, La città ai confini del
cielo (tutti Rizzoli) non ci sono episodi di brutalità eclatanti. Ma in
Tre figlie di Eva (Rizzoli, pagine 448, euro 20,00) la cultura
patriarcale che tollera infinite forme di abusi e violazioni è presente
sotto traccia lungo tutta la storia: da un tentativo di stupro per le
strade di Istanbul a un test di verginità su una giovane sposa
terrorizzata. Fino alle mille regole non scritte che le “brave ragazze”
sono tenute ad osservare, pena lo stigma sociale e la rovina delle
proprie famiglie. Il tutto aggravato da una mentalità fatalista e
rassegnata che diventa complice dell’immobilismo: «Nel quartiere si
considerava preordinato ogni destino e inevitabile ogni sofferenza,
comprese quelle che gli abitanti della via infliggevano gli uni agli
altri, come per esempio fare a botte per il calcio, litigare per la
politica e picchiare la moglie», racconta Peri, la protagonista del
romanzo. «La Turchia ha sempre avuto una società patriarcale, ma oggi è
più conservatrice, più chiusa, più tesa – spiega Shafak, che stasera,
alle 19.00 al Teatro dal Verme, inaugurerà BookCity Milano dialogando
con la giornalista Rula Jebreal e riceverà il Sigillo della città dal
sindaco Giuseppe Sala –. C’è un incremento crescente della violenza
domestica: moltissime donne vengono assassinate dai loro mariti, ex
mariti, compagni. C’è anche il grosso problema degli omicidi d’onore: i
responsabili ottengono pene leggere, si giustificano dicendo che hanno
dovuto “difendere il loro onore”. Un concetto malsano che crea molti
problemi. Dobbiamo cambiare le leggi, ma anche la mentalità delle
persone».
Come possono le donne turche combattere questa mentalità patriarcale, ben descritta nel suo libro?
«Abbiamo
bisogno di una cultura di sorellanza: questo è ciò che manca in
Turchia. Abbiamo donne forti nel settore degli affari, nelle università,
nelle arti, ma tutto ciò non è abbastanza se non siamo in grado di
costruire un senso di condivisione che sostenga e abbracci tutte le
donne». Dopo un decennio di speranze per le minoranze, ora in Turchia la
situazione sta di nuovo deteriorandosi rapidamente e assistiamo a un
ritorno di forte nazionalismo: quale spazio vede per curdi, cristiani
armeni, greci, aleviti… di nuovo etichettati come «le mele marce» e «i
traditori della nazione»?
«La qualità della democrazia in un Paese
non si misura guardando alla maggioranza ma alla situazione delle sue
minoranze. E la loro vita, in Turchia, è diventata molto più dura. È
stato molto triste e ingiusto arrestare i leader del partito di
ispirazione curda: i liberali, sia turchi che curdi, sono una minoranza e
ci sentiamo molto depressi, molto soli. Il Paese sta perdendo la sua
democrazia pluralista, c’è un forte giro di vite sui giornalisti, gli
scrittori, gli intellettuali. Al momento sono demoralizzata».
Alcuni personaggi del romanzo sono convinti che la democrazia non sia adatta al Medio Oriente: che ne pensa?
«I
discorsi che ho raccontato nel libro sono quelli che sento fare da
molti in Turchia e un po’ dappertutto in Medio Oriente. Queste persone
sostengono: “La democrazia è un concetto occidentale, non ci appartiene
culturalmente”. Trovo queste affermazioni molto pericolose. In tutto il
mondo si sta verificando una crescita delle “democrazie illiberali”:
sistemi che hanno le elezioni ma mancano di altri prerequisiti come la
libertà di espressione, la separazione dei poteri, il principio di
legalità... Osservo queste tendenze globali e sono molto critica verso
di esse».
In Turchia assistiamo anche a un ritorno dell’islam
nella vita pubblica: non pensa che, sotto la superficie, buona parte del
Paese non avesse mai maturato una vera laicità?
«Tre fattori
stanno crescendo in Turchia: il nazionalismo, il conservatorismo
islamico e l’autoritarismo. Tutti e tre sono connessi e problematici.
Sì, quello che manca è la laicità, ne abbiamo bisogno in particolare noi
donne, perché siamo noi che abbiamo più da perdere. A rischio sono
tutti i nostri diritti».
Anche lei pensa, come il padre della protagonista, che l’istruzione salverà la Turchia? O ne è rimasta delusa?
«L’istruzione
è molto importante, specialmente quella delle ragazze. Ma che genere di
istruzione? Oggi anche il sistema educativo è molto nazionalista,
chiuso. L’individualità non è incoraggiata, la creatività non è
sostenuta. Questo sistema ha bisogno di essere riformato in senso molto
più umanistico e creativo».
Quanto è ascoltata oggi la voce dei giornalisti, degli scrittori, degli artisti?
«La
pressione nei confronti degli intellettuali è molto forte. Moltissimi
miei amici e colleghi sono finiti su liste nere, sono stati
stigmatizzati e perfino incarcerati. Sono state soppresse associazioni
femminili, e anche organizzazioni per i diritti dei bambini. I social
media sono invasi da discorsi carichi di odio, da calunnie e
disinformazione ai danni di giornalisti e scrittori. Per le scrittrici
donne, a volte, è ancora peggio, perché il linguaggio degli attacchi è
incredibilmente sessista e misogino. Questo è un momento molto duro per
le menti pensanti in Turchia».
Attualmente lei ha deciso di vivere
in Europa: che cosa pensa dell’atteggiamento dell’Unione nei confronti
della Turchia, negli ultimi decenni e oggi?
«Io sono una nomade,
una pendolare. Mi muovo tra città, culture e lingue, voglio costruire
ponti attraverso le mie storie e le mie parole. E se è vero che sono
molto critica verso il governo turco, allo stesso tempo ne amo la
cultura e il popolo. Penso che i popoli non dovrebbero essere isolati ed
esclusi. Se la Turchia verrà isolata dall’Europa, così come ne è stata
allontanata negli ultimi decenni, non farà che diventare più
autoritaria. Io credo fermamente nell’Unione Europea perché per me
incarna primariamente dei valori, come la libertà di espressione, i
diritti delle donne, il principio di legalità. Voglio che la Turchia si
adatti e abbracci questi valori, non voglio che la mia madrepatria se ne
vada lontano dall’Europa».