Avvenire 15.11.16
500 anni dopo Lutero. Padre Puglisi: «Una sola lingua per cattolici e luterani»
L’esperto
di ecumenismo padre James Puglisi: «Uno dei nodi principali resta il
reciproco riconoscimento dei ministri ordinati. Ma le incomprensioni di
cinque secoli oggi possono essere superate»
di Alessandro Zaccuri
Per
padre James Puglisi l’ecumenismo è, alla lettera, una questione di
famiglia. «Mia nonna era nata anglicana – ricorda il religioso
originario della cittadina di Amsterdam, nello Stato di New York – e
solo in seguito divenne cattolica». Proprio come è accaduto all’altra
famiglia, religiosa, di cui padre Puglisi fa parte: i francescani
dell’Atonement, ossia delle redenzione. Il nome, ispirato a un brano
della Lettera ai Romani, fu scelto alla fine dell’Ottocento dal pastore
episcopaliano statunitense Lewis Wattson, iniziatore dell’Ottavario di
preghiera per l’unità dei cristiani. Poco tempo più tardi, nel 1909,
Wattson passò al cattolicesimo e la congregazione da lui fondata fu
ammessa alla piena comunione con la Chiesa di Roma. Attualmente i
francescani dell’Atonement animano il centro Pro Unione di Roma
(www.prounione.urbe.it), attivissimo nelle promozione del dialogo
ecumenico. Padre Puglisi, che lo dirige, è considerato un’autorità in
materia: a lui si deve, tra l’altro, la cura dell’Enchiridion
Oecumenicum pubblicato in numerosi volumi fin dalla metà degli anni
Ottanta. «Il quinto centenario della Riforma – dice – può segnare una
tappa importante, se non altro per il riconoscimento dei progressi
compiuti negli ultimi decenni».
In quale direzione: pastorale o teologica?
«Mi
pare indubbio che sul piano dottrinale si sia ormai superato ogni
equivoco tra cattolici e luterani. E questo già dal 1999, dalla firma
della Dichiarazione congiunta sulla giustificazione, grazie alla quale
siamo arrivati a una nuova comprensione degli elementi che ci avevano
diviso in passato. I cattolici riconoscono che i luterani non sono più
soggetti all’anatema del Concilio di Trento e, nello stesso tempo, i
luterani ammettono che i cattolici non sono più estranei alla giusta
comprensione del mistero centrale della fede in Cristo. Quanto sta
accadendo in questi mesi, compreso lo storico viaggio di papa Francesco
in Svezia, si pone nel segno di questa continuità».
Quali potrebbero essere i prossimi passi?
«Mi
rifaccio a un documento che si intitola appunto On the way, “In
cammino”, sottoscritto di recente negli Stati Uniti da cattolici e
luterani. Lì sono indicati tre aspetti particolarmente rilevanti per il
dialogo: la Chiesa, l’Eucaristia, il ministero. Per ciascuno di questi
ambiti vengono valutati gli elementi di accordo e di disaccordo.
Sull’Eucaristia le differenze sono ridotte al minimo, dato che anche i
luterani concordano sulla vera presenza di Cristo, per la quale pure
forniscono una spiegazione alternativa rispetto a quella in uso nella
teologia cattolica. Più complessa è la questione della Chiesa, nella
quale i luterani sono ancora restii a riconoscere uno strumento per
l’opera di salvezza. Ma il vero punto critico, alla fine, è costituito
dal riconoscimento reciproco del ministero. Fino a quando non verrà
superato questo ostacolo, l’unità non potrà dirsi raggiunta».
Si riferisce all’ordinazione delle donne?
«Nel
mondo luterano le donne ordinate sono molto numerose, ma la Chiesa
cattolica non contempla questa possibilità: come pensare, allora, di
arrivare a un’effettiva reciprocità? Sono convinto che nei prossimi anni
la teologia cattolica dovrà molto riflettere su questo snodo,
considerando con grande serietà le obiezioni che vengono da parte
protestante».
Quali?
«Il fatto che nulla, nel Nuovo
Testamento, esclude espressamente il sacerdozio femminile. Gli apostoli
erano tutti uomini, si ripete. Ma se è per questo erano anche ebrei,
circostanza che non ha impedito l’ingresso dei gentili nella Chiesa. La
riflessione, a questo punto, deve andare in un’altra direzione,
approfondendo la dimensione del sacerdozio comune dei fedeli. Il legame,
insomma, non è tra sacerdozio e ordinazione, ma tra Battesimo e
sacerdozio».
Non sarà un percorso facile.
«Più che altro non
può essere un percorso imposto dall’alto, come si tentò a fare nel
Quattrocento con il fallimentare Concilio di Ferrara e Firenze che
mirava a ricomporre lo scisma d’Oriente. Il dialogo ecumenico, al
contrario, ottiene i risultati migliori quando si configura come un
movimento dal basso. Ecco perché bisognerebbe insistere sulla formazione
dei ministri nelle varie Chiese. L’ecumenismo non può essere
considerata soltanto una materia di studio da affiancare alle altre, ma
deve diventare anche una visione trasversale, capace di informare di sé
tutta l’azione pastorale. Del resto, è l’azione che ci unisce, prima
ancora della dottrina. Mi pare che sia questo, da ultimo, il significato
più profondo dell’ecumenismo praticato da papa Francesco, nella cui
riflessione è centrale il riconoscimento del comune Battesimo ricevuto
dai cristiani».
Ma lo scisma di mezzo millennio fa poteva essere evitato?
«La
mia impressione è che alla base della rottura ci sia stata una forte
incomprensione linguistica. La forma mentis di Lutero era di tipo
settentrionale, direi quasi anglosassone, ma si esprimeva attraverso le
formule della Scolastica latina, finendo così per irrigidirsi ancora di
più. Ogni lingua ha in sé la sua logica, infatti, e la transizione da un
contesto all’altro non avviene in modo indolore. Nella fattispecie,
Lutero non ha mai rinunciato al procedimento binario della reciproca
esclusione. Per lui l’Eucaristia, per esempio, non può essere nello
stesso tempo sacrificio e rendimento di grazie, perché una definizione
viene a contraddire l’altra e questo impedisce di raggiungere la sintesi
del sacrificium laudis. Questo, peraltro, vale anche per la posizione
assunta da Lutero sull’ordinazione. Per strano che possa apparire, fu
proprio l’eredità della Scolastica a rendere impossibile la
riconciliazione nei primi anni della Riforma. Adesso spetta a noi
trovare un linguaggio e un pensiero veramente innovativi».