venerdì 7 ottobre 2016

Venerdì 7 Ottobre, 2016
Usa
La caccia ai Millennials che decideranno il voto
L’affanno di Hillary e la tentazione libertaria
Molti ex giovani sostenitori del socialista Bernie Sanders potrebbero scegliere il «terzo incomodo»
di Serena Danna

C’è un paradosso che domina le elezioni presidenziali americane: l’anno in cui gli elettori di età compresa tra i 18 e i 34 anni hanno superato i «Baby Boomers» è quello che porterà meno giovani alle urne. Né Hillary Clinton né Donald Trump piacciono ai Millennials al punto che molti di loro, «Bernie Bros» compresi, sono disposti a votare per il libertario Gary Johnson — quello che ha dichiarato di non sapere dove si trovasse Aleppo — pur di non mandare uno di loro alla Casa Bianca. «La campagna del 2016 — ha scritto il Washington Post — rischia di trasformare i nostri Millennials, diffidenti, alienati e delusi, in una generazione politica persa».
Il quotidiano americano ha condotto un’indagine sui giovani di nove Stati, dalla Virginia alla Silicon Valley, traendo una conclusione comune: non importa chi vincerà tra Trump e Clinton, perché sono entrambi espressioni di quel sistema — nel primo caso economico-finanziario, nel secondo anche politico — che impedisce loro di avere un futuro.
«Molta della retorica di Trump è antitetica alla loro esperienza e modo di pensare — spiega al Corriere Katherine Jellison, docente di Storia politica all’Ohio University —. Sono cresciuti in un’America multiculturale e non sono abituati a certi commenti. Mentre Clinton è percepita come l’ establishment». Anche Moira Weigel, classe 1983, ricercatrice a Yale, non si definisce un’«entusiasta di Hillary», eppure farà campagna per lei negli Stati in bilico perché «Trump rappresenta una minaccia alla democrazia americana e alla sicurezza globale».
È la filosofia del «Never Trump», che però non riesce a trainare molti giovani convinti, al contrario, che — come sostiene il fondatore di Occupy Wall Street, Micah White — che la sua elezione farebbe esplodere le contraddizioni di un Paese che ha fondato la sua grandezza sulle disuguaglianze. Stando ai dati dell’Institute of Politics di Harvard, il 60 per cento dei giovani americani non sostiene il capitalismo e 4 su 5 ritengono che ci sia bisogno di una riforma radicale a Washington (il 33 per cento ritiene che toccherebbe schiacciare il pulsante «reset» e ricominciare daccapo).
Il clamoroso impasse a pochi mesi dall’elezione di due tra i presidenti più anziani della storia americana segna la fine della fase «luna di miele» nella relazione tra giovani e politica: dopo gli attentati dell’11 settembre si è registrata una crescita della partecipazione degli under 35, che ha raggiunto l’apice nel 2008 con l’elezione di Obama, quando il sogno di cambiamento del primo presidente nero ha portato milioni di Millennials alle urne. Quegli stessi giovani — come ha fatto notare il comico Zach Galifianakis nella sua trasmissione Between Two Ferns — potrebbero «fare ancora la Storia» eleggendo una donna. C’è da scommettere che l’ endorsement del popolare comico — che ha definito la candidata democratica «cool» — avrà lo stesso effetto di quelli dell’attrice e regista Lena Dunham, ambasciatrice di punta di Hillary Clinton presso i Millennials, ma percepita dagli stessi troppo «bianca e privilegiata» per colpire al cuore. Neanche il grido disperato «I need you» agli studenti di Temple University o l’apparizione su Humans of New York , l’amatissimo blog che raccoglie foto e volti di newyorkesi in cui ha raccontato la sua relazione complicata con le emozioni, l’hanno premiata agli occhi dei «Bernie Bros» d’America.
Dall’altra parte della barricata le cose vanno ancora peggio, visto che il reclutamento dei giovani è affidato ai figli di Trump, come dimostra una foto circolata su Instagram qualche settimana fa che li ritrae insieme con la scritta #millennialsforTrump. Ivanka, a cui pur si deve l’apertura del padre verso politiche per la famiglia, ha detto che «il lavoro più importante per una donna è diventare madre», mentre il fratello Donald Jr. si è fatto notare più volte per le sue gaffe razziste e i comportamenti da ricco sbruffone. Al loro cospetto, Bernie Sanders e Gary Johnson sembrano pop star del XXI secolo.