venerdì 7 ottobre 2016

Corriere 7.10.16
Rimpianto del comunismo nella Russia di Putin
risponde Sergio Romano

A leggere la scrittrice Svetlana Aleksievic ( Tempo di seconda mano ), si ha l’impressione che i giovani russi abbiano nostalgia di un passato comunista che però non hanno nemmeno conosciuto. Nello stand russo all’Expo avevo sentito ricordare con grande insistenza la vittoria nella «guerra patriottica» contro Hitler. Sembra tutto così anacronistico, ma si direbbe che in Russia la cultura comunista abbia ancora delle radici profonde. Lei potrebbe spiegarne le cause?
Domenico Spedale

Caro Spedale,
Quella che lei definisce «cultura comunista» è in realtà una sorta di nostalgia per il passato sovietico. Le ragioni cambiano a seconda dei gruppi sociali e della loro età. Le persone più anziane ricordano un periodo della storia russa in cui le principali esigenze erano soddisfatte dallo Stato. Gli scaffali erano spesso vuoti e le code di fronte ai negozi inevitabilmente lunghe. Ma i prezzi erano fissati dalle autorità, gli affitti erano modesti, le case erano riscaldate, la sanità e la scuola erano gratuite. Il collasso dello Stato sovietico ha inceppato la grande macchina dei servizi pubblici. L’inflazione in stile latino-americana degli anni Novanta ha divorato i risparmi depositati nelle Casse di risparmio. I negozi si sono riempiti di nuove merci, ma il vertiginoso aumento dei prezzi le rendeva inabbordabili.
Alcuni spregiudicati «capitalisti» hanno approfittato delle privatizzazioni per impadronirsi, a basso prezzo, del patrimonio industriale del Paese, ma hanno creato un enorme divario sociale là dove aveva regnato per più di settant’anni, anche se con parecchie eccezioni, il principio della eguaglianza. L’intervento di Vladimir Putin, dopo il suo arrivo al potere, ha considerevolmente corretto questa situazione e spiega in buona parte la popolarità di cui il presidente russo gode ancora, a giudicare dalle ultime elezioni.
Per molti giovani invece l’era sovietica, con i suoi orrori e le sue inefficienze, è pur sempre quella in cui la patria russa era la casa madre di una grande ideologia e, sul piano delle relazioni internazionali, era rispettata e temuta. La grande vittoria sulla Germania nazista è diventata, in questa prospettiva, la prova tangibile della grandezza russa, la dimostrazione di ciò che i russi possono fare quando combattono uniti sotto la guida di un grande leader. Questo spiega tra l’altro perché Stalin sia ancora, agli occhi di una parte importante della società russa (più del 30%), un eroe nazionale. Non si può parlare della Seconda guerra mondiale senza parlare dell’uomo che era alla guida del Paese nel momento in cui i tedeschi e i loro alleati occupavano l’Ucraina, il Baltico e la Russia occidentale, assediavano Leningrado e Stalingrado. Credo che molti russi siano consapevoli degli orrori dell’epoca staliniana. Ma non si può rinunciare, almeno per il momento, alla memoria dell’uomo che ha portato il Paese alla vittoria.