Repubblica 8.10.16
Edipo
Perché il giallo dell’innocente colpevole è il delitto perfetto sognato da Hitchcock
Una rilettura dell’eroe di Sofocle come protagonista del primo “cold case” della letteratura
di Maurizio Bettini
Oggi
alle 10 Maurizio Bettini tiene una lectio nell’ambito del 900fest di
Forlì, intitolata “ Il mito e la colpa: il caso di Edipo”
Quando
l’uomo giunse a Tebe, terrorizzato, la notizia sconvolse la città:
Laio, il re, era stato assassinato. Nel frattempo però un altro evento
aveva sparso il terrore. Si diceva che un essere spaventoso e seducente
nello stesso tempo — corpo di leone, ali di uccello, testa e petto di
donna — si fosse appollaiato su una roccia e da lì, bloccando la via,
sfidasse i passanti a risolvere un enigma. Una musica dolce era la sua
voce, ma la Sfinge — così si chiamava — era crudele. Nessuno era stato
capace di trovare la soluzione, e tutti erano stati divorati dal mostro.
Poi però era comparso lo zoppo. Dicevano che fosse arrivato trascinando
i piedi
nella polvere, ma quando si trovò di fronte alla Sfinge
non ebbe paura. Si appoggiò, mise la mano al mento, come se pensasse,
poi pronunziò la risposta. La Sfinge, sconfitta, aveva urlato e si era
gettata giù dalla rupe. Tebe era libera. Lo zoppo si chiamava Edipo e in
città lo portarono in trionfo. Gli dettero in moglie la regina vedova,
Giocasta, e lo fecero re di Tebe. Adesso la città era felice, ma passati
alcuni anni, le sventure ricominciarono. La peste infatti afferrò Tebe,
e con la peste la carestia. La città è di nuovo immersa nella
disperazione.
Siamo giunti così all’inizio dell’Edipo re di
Sofocle, di cui abbiamo raccontato l’antefatto. Adesso il re è sulla
scena e, pressato dai vecchi di Tebe, dichiara di aver mandato a
consultare l’oracolo. La risposta giunge, ed è chiara: il sangue di Laio
chiede vendetta, e l’ignoto assassino si trova in città. Al re non
resta dunque che cominciare a indagare — è un grande solutore di enigmi,
chi meglio di lui potrà risolvere questo mistero? Edipo assume dunque
il ruolo di detective, alle prese con un “cold case”, come oggi si dice.
E da buon detective si preoccupa subito di cercare indizi: «Come sarà
possibile trovare la traccia di un crimine antico, difficile da
decifrare?», si chiede. Ma poi è più fiducioso: «Un solo dettaglio può
aiutarci a scoprire molte cose, basta lo spunto, anche piccolo, di una
congettura». Come si vede del detective Edipo ha assunto anche il
linguaggio. «Da solo, non potrò seguire le tracce molto a lungo» dice
ancora «se non dispongo di qualche segno ».
Eccolo anzi sottoporre
sospettati e testimoni ad interrogatori invero serrati mentre — come
ogni investigatore che si rispetti — fa ricorso alle regole della logica
per escludere determinate ipotesi: «Infatti l’uno non potrebbe essere
la stessa cosa dei molti», dirà a un certo punto. Sotto i nostri occhi
si svolge un’inchiesta che, come vedremo, è costruita su uno
straordinario gioco di incastri, tale da superare la fantasia di
qualsiasi giallista.
Solo che Edipo non è solo un investigatore, è
soprattutto un eroe tragico. Che nel profondo del cuore cela, come si
sa, un terribile segreto. Prima di giungere a Tebe, infatti, un oracolo
gli aveva predetto un destino di sventura: «Ucciderai tuo padre e ti
unirai a tua madre! ». Per questo Edipo era scappato da Corinto, dove
viveva con i suoi genitori, Polibo e Merope, il re e la regina di quella
città. Che altro avrebbe potuto fare se non fuggire il più lontano
possibile da padre e madre?
Ma torniamo sulla scena di Sofocle,
l’inchiesta infatti va avanti. Finalmente è stato individuato il
testimone chiave, un servo che accompagnava Laio il giorno
dell’omicidio. Interrogato, l’uomo riesce solo a ricordare che il fatto
si era svolto sulla via che da Tebe porta a Delfi, a un bivio: Laio
stava sul suo carro, dice, e gli assassini — uno solo? molti? — lo
avevano trafitto. A questo punto, però, la vicenda ha una brusca
impennata: il detective è preso dall’angoscia. Egli ricorda infatti che
prima di giungere alla rupe della Sfinge, sulla via di Tebe, aveva
incrociato un arrogante che gli aveva chiesto il passo con la frusta.
Edipo l’aveva tirato giù dal carro e l’aveva ammazzato. Dunque
quell’uomo era Laio? Ed era lui stesso, Edipo, l’assassino? Se è così, e
tutto lo fa credere, l’inchiesta condotta da Edipo ha condotto a questo
paradossale risultato: l’assassino altri non è che il detective.
Ma
ecco un nuovo colpo di scena, in questa vicenda la suspense è
incalzante. C’è infatti un nuovo mistero da risolvere, ci sarà bisogno
di ascoltare nuove testimonianze e di comporre altri indizi. Giunge
infatti un messaggero da Corinto: Polibo, il padre di Edipo, è morto.
Almeno c’è questo sollievo, pensa il re, non ho ucciso mio padre, il mio
destino non si è compiuto. Racconta dunque dell’oracolo al messaggero e
l’altro quasi si mette a ridere. Per questo sei fuggito da Corinto, gli
dice? Per paura di uccidere tuo padre? Ma no, Polibo non era il tuo
vero padre. Ti ho raccolto io, trovatello, sulla montagna, e ti ho
portato a lui, che ti ha adottato. Di chi son figlio allora? Chiede il
re ancora più sconvolto. Chi sono io? Da detective che era, Edipo si
vede sempre più trasformato in oggetto di indagine. Anche in questa
seconda, inattesa tappa dell’inchiesta, il servo che aveva assistito
all’uccisione di Laio si conferma nel ruolo di testimone chiave.
Tanti
anni prima, racconta, quando pascolava le greggi sui monti, gli era
stato ordinato di uccidere un bambino: il figlio di Laio e Giocasta, di
cui il re voleva liberarsi. Aveva le caviglie trafitte, quel bambino, e
lui non aveva avuto il coraggio di ucciderlo. Per questo lo aveva
abbandonato sui monti, dove l’altro, l’uomo di Polibo, lo aveva raccolto
e portato a Corinto. Edipo è zoppo, il piccolo aveva le caviglie
forate: tutti gli indizi convergono, dunque quel bambino era lui, Edipo.
Al termine della sua indagine il detective non solo ha scoperto di
essere lui l’assassino che cercava, ma anche di aver compiuto punto per
punto il proprio destino: ha ucciso suo padre, Laio, e ha concepito
figli da sua madre, Giocasta. Edipo, il detective, risolvendo un caso di
omicidio ha scoperto di essere un mostro.
La vicenda dello zoppo
che scioglie enigmi, e indagava su un omicidio eccellente, è ciò che un
giallo (riuscito) difficilmente arriva ad essere: una grande riflessione
sulla “colpa”. Edipo, l’assassino, l’incestuoso che appesta Tebe, in
realtà è contemporaneamente un innocente. Perché nessuno di questi
delitti egli lo ha voluto commettere, il destino ha deciso per lui — ma
nonostante questo Edipo è un colpevole, un impuro.
Proviamo a
tradurre questa categoria arcaica, mitica, di “destino” in quelle che
useremmo noi al suo posto: come il crescere in condizioni sociali
miserabili e degradate. Dopo di che immaginiamo che, in simili
situazioni, qualcuno uccida, contamini di sangue la città, diventi un
mostro. Colpa? Destino?