Repubblica 7.10.16
Nel Colosseo l’arte in 3D ferita a Palmira
Ricostruiti con tecnologie digitali ed esposti a Roma alcuni dei capolavori distrutti dall’Isis. Presente anche Mattarella
di Stefania Parmeggiani
Il
toro alato con la testa umana che proteggeva il palazzo del re a
Nimrud, nel nord dell’Iraq, rinasce a migliaia di chilometri di
distanza. In Italia, a Roma, in un monumento di fama e bellezza
mondiale: il Colosseo. Ridotto in polvere nella primavera del 2015 dalle
cariche di esplosivo dei miliziani dello Stato Islamico, è stato
ricostruito a grandezza naturale e da oggi fino all’11 dicembre accoglie
con l’espressività del suo sguardo, rivolto verso il basso da
un’altezza di cinque metri, i visitatori
del secondo anello
dell’anfiteatro. A pochi passi di distanza rivivono il soffitto del
tempio di Bel a Palmira e la sala dell’archivio di Stato del Palazzo di
Ebla, che custodiva 17 mila tavolette cuneiformi e che oggi versa in
grave stato di abbandono.
I tre monumenti sono stati ricostruiti
in scala 1:1 per l’esposizione «Rinascere dalle distruzioni. Ebla.
Nimrud. Palmira», ideata da Francesco Rutelli e dall’archeologo Paolo
Matthiae, promossa dalla Soprintendenza speciale per il Colosseo con il
Patrocinio dell’Unesco, l’impegno dell’Associazione Incontro di Civiltà,
il sostegno economico (480mila euro in tre anni) della Fondazione Terzo
Pilastro -Italia e Mediterraneo.
Non si tratta di un semplice
atto simbolico contro la violenza jihadista, ma di un invito ad aprire
un dibattito scientifico sulla possibilità di ricostruire quello che
l’uomo ha ridotto in polvere, dimostrando come le nuove tecnologie
possano aiutare gli studiosi nel delicato compito di riportare indietro
le lancette a prima delle cariche di esplosivo, delle picconate, della
furia iconoclasta. I tecnici italiani, sotto la guida di un comitato
scientifico di archeologi e storici dell’arte, hanno studiato i disegni e
le fotografie esistenti — per il toro di Nimrud non c’erano certezze
neanche sulle dimensioni — e poi hanno realizzato manufatti in materiale
plastico grazie a stampanti in 3D. A quel punto le copie sono state
rivestite con polvere di pietra e anticate manualmente. Un lavoro durato
mesi, che si è trasformato in un abbraccio tra antiche civiltà e in un
viaggio nel tempo reso ancora più affascinante da una video
installazione di Studio Azzurro: le immagini dei siti archeologici di
Siria e Iraq si sovrappongono ai primi piani degli occhi delle persone
incontrate in quelle terre e passate in pochi anni dal ruolo di custodi
di una memoria condivisa a quello di testimoni della sua distruzione.
«La
cultura è un patrimonio comune ed è anche un segno di civiltà contro
l’oscurantismo», dice il presidente della Repubblica Sergio Mattarella
dopo avere visitato la mostra in anteprima, insieme ai ministri degli
Esteri Paolo Gentiloni e dei Beni culturali Dario Franceschini. «Lo
scopo è sensibilizzare il pubblico alla conoscenza, alla cultura e alla
salvaguardia di luoghi e monumenti patrimonio dell’umanità — spiega
Rutelli — ma anche favorire il dibattito sulla ricostruzione. Il dopo
non è mai semplice, c’è il rischio di commettere errori storici o peggio
ancora di trasformare la memoria in una Disneyland. Invece tutto deve
avvenire su solide basi scientifiche con caratteri di verità e
credibilità». Per questo propone di creare una mappa del rischio di
tutte le aree archeologiche e monumentali del mondo: «È necessaria una
documentazione universale, accessibile e trasparente sotto l’egida
dell’Unesco». Matthiae non ritiene l’opera di ricostruzione impossibile:
«L’importante è che non diventi la scusa per un nuovo neocolonialismo. I
restauri e le ricostruzioni devono avvenire secondo tre principi
fondamentali: il rispetto pieno della sovranità degli Stati in cui opere
e monumenti si trovano; il coordinamento, la supervisione e
l’approvazione dell’Unesco; la più ampia, solidale e intensa
collaborazione internazionale». La mostra di Roma è un primo passo, come
testimonia un prestito proveniente da Palmira: due altorilievi — un
busto maschile e uno femminile — danneggiati durante l’occupazione
dell’Isis e salvati dai funzionari della Direzione delle Antichità di
Damasco. Nel maggio 2015 un gruppo di uomini guidati dal professor
Maamoun Abdulkarim e con il coordinamento locale di Walid el-Asaad, il
curatore poi ucciso dai terroristi per essersi rifiutato di collaborare
alla devastazione del patrimonio a cui aveva dedicato la vita, portarono
in salvo quasi tutte le statue e i busti del Museo nazionale di
Palmira. I due bassorilievi arrivati in Italia, vere icone dell’arte
ferita, al termine della mostra saranno restaurati dall’Istituto
superiore per la conservazione e il restauro. Poi torneranno in Siria.
La speranza è che un giorno saranno esposti nel Museo di Palmira.