giovedì 6 ottobre 2016

Repubblica 6.10.16
La riforma e l’elezione del presidente
di Salvatore Settis

DISTRATTAMENTE, Guido Crainz scrive su Repubblica di ieri che «si è considerato addirittura un vulnus la norma che in realtà innalza il quorum necessario per l’elezione del Presidente della Repubblica, portandolo dalla maggioranza assoluta ai tre quinti dei votanti, e quindi al di fuori della portata di chi governa (a meno di non ipotizzare un’assemblea letteralmente dimezzata nelle presenze, come ha fatto ieri Salvatore Settis)». Non è così. Nella Costituzione vigente, il Presidente si elegge coi due terzi dei voti degli aventi diritto (tutti i deputati e senatori) nei primi tre scrutini, con la maggioranza assoluta dell’intera assemblea dal quarto in poi. Secondo la riforma, il Presidente è eletto coi tre quinti dell’assemblea dal quarto al sesto scrutinio, coi tre quinti dei votanti dal settimo in poi (art. 83), il che vuol dire che gli assenti non si contano ai fini del risultato. Secondo l’art 64, «le deliberazioni del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei componenti», dunque nell’assemblea che elegge il Presidente, composta di 630 deputati e 100 senatori, devono esservi almeno 366 presenti in aula. I tre quinti di 366, provare per credere, fa 220. Ergo, il Capo dello Stato potrebbe essere eletto da soli 220 votanti, e questo in un Parlamento dove, stando al vigente Italicum, il partito al governo avrà 340 seggi nella sola Camera: l’elezione pilotata del Presidente è dunque tutt’altro che «al di fuori della portata di chi governa». Crainz sembra credere che tante assenze non ci saranno mai. Ma se è così, perché prevederle in Costituzione?