Repubblica 5.10.16
La gramigna nazionalista
di Massimo Riva
MEGLIO
così, s’intende, perché un po’ di piombo nelle ali del tacchino magiaro
non guasta. Ma non c’è poi da fare gran festa se oltre la metà degli
ungheresi ha disertato l’appello al plebiscito del “Viktatore” di
Budapest. Si può star certi, infatti, che Viktor Orbán continuerà la sua
guerra contro la costruzione di un’Europa federata. Già il rigetto di
ogni pur minima quota di accoglienza di migranti da parte di Budapest è
stato un atto gravemente ostile a quel principio della solidarietà
mutualistica fra i soci su cui si fonda il processo d’integrazione
continentale. Ora sarebbe vano sdrammatizzare: quel rifiuto, blindato
addirittura con il filo spinato, rappresenta tanto nei mezzi quanto nei
fini un attentato deliberato contro l’identità culturale e civile del
progetto europeo. Non è, però, che si possa attribuire ogni
responsabilità di questa regressione soltanto alle sempre più palesi
pulsioni parafasciste di Orbán. Con ogni probabilità costui non avrebbe
trovato il coraggio di lanciare una simile sfida se tanto da Bruxelles
quanto dalle capitali più influenti avesse ricevuto richiami
inequivocabili e tempestivi. Così, purtroppo, non è accaduto. Il
presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha sì dichiarato
“inaccettabili” le posizioni assunte dall’Ungheria (insieme a Polonia,
Cechia e Slovacchia) ma senza mai colpo ferire in tema di conseguenti
sanzioni. E quando proprio il nostro premier ha cercato di prendere per
il bavero l’arroganza di Orbán dicendo che non si possono incassare i
miliardi dell’Unione e poi rifiutarsi di pagare pegno, nessuno ha
fiatato né a Bruxelles né altrove. Un silenzio di fatto connivente che a
Budapest hanno avuto buon gioco a interpretare come una licenza ad
alzare il prezzo.
Cosicché in questo clima di ignavia generale non
si è neppure colto l’aspetto più velenoso della domanda che Orbán ha
sottoposto al voto popolare mettendo in esplicita contrapposizione i
poteri dell’Unione con quelli del Parlamento nazionale. Non solo una
formula furbesca per catturare più facilmente i consensi, ma molto
peggio: una chiara provocazione politica in favore di un’integrazione
continentale ispirata al modello vetero- gollista della cosiddetta
“Europa delle patrie”. Ovvero il più possibile lontana e immune da ogni
ambizione e potere federali. Obiettivo che l’astuto Orbán ha l’abilità —
al contrario degli impulsivi britannici — di perseguire costituendo
all’interno dell’Unione una sorta di quinta colonna antifederalista che,
oltre ai tre soci del Quartetto di Visegràd, può trovare sponde
nell’estrema destra francese, italiana e tedesca. Il nazionalismo è una
gramigna infestante.
Attenzione, quindi. Anche se in parte
abortito il lancio del missile antieuropeo del governo di Budapest usa
un carburante altamente infiammabile qual è il ricorso ai plebisciti
convocati in nome della nazione. Nelle sue lezioni sulla civiltà
europea, Lucien Febvre diceva: «Nazioni e nazionalità sono dei prodotti
esplosivi, dei prodotti pericolosi. Da quando sono stati creati da
quella chimica profonda che si elabora al fondo dei popoli, non c’è più
stata, in realtà — domando perdono ai sogni e ai sognatori — non c’è mai
più stata Europa possibile ». Il grande storico delle Annales si
riferiva a vicende secolari, ma le sue parole suonano di un’attualità
sconcertante.