Corriere 5.10.16
«Generazione coinquilini»
I giovani e la casa in comune
Una
casa con due camere da letto costa a Milano 800-900 euro, idem a Roma, a
Padova 500, a Catania 360, più 100 per bollette e spese varie.
Servirebbe uno stipendio, che per molti giovani non c’è: nasce la
generazione coinquilini
di Dario Di Vico
C’è un
sito decisamente provocatorio sin dal titolo che vanta 600 mila contatti
e serve a mettere alla berlina i propri coinquilini «per sensibilizzare
la società sul dramma della convivenza tra estranei». Ha avuto successo
perché documenta fotograficamente le nefandezze dei giovani conviventi,
ha generato già un libro ed è una dissacrante metafora di una
generazione a metà del guado. Che vorrebbe conquistare autonomia
residenziale ma è obbligata a dividere le spese con dei
semi-sconosciuti. Il coinquilino diventa quindi una sorta di capro
espiatorio à la Pennac , appena incappa in qualcosa di sbagliato viene
messo alla gogna via Internet. Le accuse sono di tutti i tipi: non lava i
piatti, non tira lo sciacquone, lascia aperto il gas, non pulisce
niente proprio niente, porta a casa tizi improbabili, non vuota la
pattumiera, non usa le cuffie per la musica e addirittura fa lo/la
gnorri quando si tratta di pagare l’affitto. L’utente-delatore in realtà
vorrebbe liberarsi al più presto del suo coinquilino e quando ci riesce
finisce per alimentare un turn over accelerato in cui la stanza può
cambiare anche tre ospiti in un anno.
Le condivisioni «miste»
Un
appartamento con due camere da letto costa a Milano 800-900 euro, idem a
Roma, a Padova 500, a Catania 360, cifra alla quale vanno aggiunti in
media altri 100 euro per bollette varie e spese di condominio, 25 per il
wi-fi. Per sostenere quest’impegno ogni mese ci vorrebbe uno stipendio
rotondo (che non c’è) e dividere le spese è la conditio sine qua non .
Questa
giostra di ingressi e porte sbattute è popolata da maschi e femmine
nelle stesse proporzioni, la modernità si esprime con il fatto che un
ragazzo convive tranquillamente con una ragazza semisconosciuta senza
alcun coinvolgimento affettivo ma l’equipaggio misto deve mettere in
conto più differenze e più recriminazioni. Le foto del sito ritraggono
di tutto, l’imbarazzo del bucato in comune e i turni di utilizzo del
bagno fanno il resto. Le ragazze comunque sono più apprezzate dai
padroni di casa perché considerate, a smentita di tutti i luoghi comuni,
interlocutori più razionali.
Le App e le tipologie
Il
fenomeno dell’appartamento condiviso è così diffuso che sono già
spuntate diverse app — BeRoomers, Uniplaces e Roommates — per «matchare»
(si dice così) le diverse esigenze e tentare di trovare il coinquilino
ideale in anticipo grazie a un sistema di recensioni come Tripadvisor
(età, fumatore/non fumatore, amante degli animali o meno). A
dimostrazione dell’interesse che il test del coinquilino rappresenta per
monitorare l’universo giovanile esiste una ricerca sul tema realizzata
dal Politecnico di Milano, dai due urbanisti Massimo Bricocoli e
Stefania Sabatinelli e pubblicata sull’International Journal of housing
policy. L’indagine si appunta sulle carenze del modello di welfare
italiano «non amichevole nei confronti dei giovani» ed esamina le
strategie di sopravvivenza. L’assenza di rilevazioni generali rende
difficile quantificare il fenomeno e anche i censimenti nazionali che
pure fotografano la situazione abitativa non scendono così nel
dettaglio. I ricercatori hanno comunque diviso il campione dei
coinquilini forzati in tre gironi: il primo è quello classico degli
studenti fuori sede, il secondo è di ragazzi milanesi che lasciano la
famiglia per conquistare autonomia e privacy, il terzo sono giovani che
vengono da fuori — altre regioni d’Italia o estero — per lavoro. La
ricerca conferma come analizzando gli stili di vita si capisca molto
delle spinte all’autonomia, la responsabilizzazione e gli slittamenti di
personalità dei giovani di questa età. «Vivere sotto lo stesso tetto
non è facile, specialmente quando i bisogni e le esigenze legati all’uso
degli spazi e alla gestione del tempo differiscono in modo sostanziale —
dicono i due urbanisti —. L’organizzazione del quotidiano tra chi
studia e chi lavora, ad esempio, genera priorità differenti e può
portare a scontri. Ma l’esperienza di condivisione di un appartamento
può anche dare vita a pratiche virtuose, la capacità di mediare prima di
tutto».
Le liti: disordine e pagamenti
Ed è proprio questo
il tema più delicato (come dimostra il successo del sito), perché la
mediazione è passaggio assai complicato. Certo, esistono anche storie
esemplari come quella di Corrado che di fronte alle difficoltà di
pagamento dell’affitto del coinquilino gli fa da banca. In realtà però
prevalgono i conflitti, le esasperazioni caratteriali e il sogno di
poter mandare via il convivente e restare da soli. Secondo un sondaggio
di Easystanza, un altro sito che affitta stanze ai coinquilini, i motivi
di conflitto principali arrivano da «punti di vista e abitudini
differenti» per il 41%, da poca collaborazione nella faccende domestiche
per il 31%, disordine e poca igiene per il 30%, ritardo nel pagare le
spese per il 13,5 e portare gente sconosciuta per il 13%. Le aree
fisiche dove si litiga di più sono la cucina, bagno e balcone.
Chi resta con i genitori
Un
recente studio dell’Istat ci dice che gli under 35 non sposati che
condividono lo stesso tetto con mamma e papà sono 6,8 milioni e il 62,5%
dei celibi/nubili di quella fascia di età. Al loro interno i mammoni
forzati sono per un terzo studenti, un terzo disoccupati e un terzo
hanno un lavoro. Dando per scontato che le prime due tipologie non hanno
molta scelta e sono obbligati a restare con i genitori è interessante
approfondire le strategie di vita dell’ultimo terzo. Quanti di loro
hanno uno stipendio sufficiente per prender casa fuori e mollare gli
ormeggi? Non ci sono numeri precisi ma si può stimare che serva uno
stipendio di 2 mila euro nelle grandi città per poter traslocare
definitivamente. Di paghe di questo tipo non ce ne sono molte in giro
(neanche un ingegnere riesce ad arrivarci nei primi anni di lavoro) e
quindi viene fuori la tattica di cercare un coinquilino. Anche la
ricerca di Acli e Cisl che ha segnalato l’avanzare di un sentimento di
«arrendevolezza» tra i ventenni romani segnala come in una grande città
la maggioranza (il 58,5%) degli intervistati indichi nelle «risorse
materiali» la condizione necessaria per andare a vivere da soli. Chi fa
questa scelta a suo modo è un piccolo eroe perché non si perde d’animo e
in nome dell’autonomia e della crescita personale decide di fare almeno
un passo e provare a tagliarsi i ponti dietro. Non tutti sono
ugualmente coraggiosi, ma come dice l’Istat c’è chi resta in famiglia
magari con l’idea di mettere da parte i soldi e prendere il largo solo
in un secondo tempo.
Il confronto con l’estero
Come si usa
in questi casi viene da paragonare la nostra situazione a quella degli
altri Paesi europei ed è sempre un esercizio utile. Vediamo. Gli
scandinavi vanno fuori di casa in media a 22 anni, in Francia —
nonostante che il loro Tanguy cinematografico sia diventato il simbolo
dei mammoni dell’Occidente — tra i 23 e i 24, in Spagna — che ha tassi
di disoccupazione doppi dei nostri — a 29 anni come gli italiani. Questo
ritardo ha un effetto domino su tutte le scelte di vita successive
(matrimonio, figli) e crea un trentenne che non ha preso decisioni
significative, non sa gestire un budget economico e quindi rinvia
forzosamente la propria maturazione.
Il nostro coinquilino è come
se con il suo coraggio volesse almeno dimezzare tutti questi effetti
negativi, parte senza sapere perfettamente quando arriverà alla meta
della piena autonomia ma intanto si fa le ossa. Sapendo che, ancora
peggio di sopportare un convivente odioso, c’è il ritorno nella casa
dove si è cresciuti mettendo in bilancio un fallimento.
(1 – continua)