giovedì 6 ottobre 2016

Repubblica 5.10.16
Roma, strazio al San Camillo
L’umanità perduta al Pronto soccorso
di Umberto Veronesi

LA VICENDA di Marcello Cairoli, malato di cancro lasciato morire senza cure nell’abbandono di un Pronto soccorso, è straziante ma fortunatamente non è frequente. Non per questo, però, è meno grave. È assurdo che in una città civile come Roma accadano fatti così terribili dal punto di vista umano. Per l’inciviltà non esistono né scusanti né giustificazioni. Dal punto di vista sanitario, invece, si può tentare di capire e porre rimedio, perché il problema ha radici che affondano nel principio stesso di tutela della salute.
In caso di malattie gravi, come il cancro, i tempi di attesa degli ospedali per una terapia devono essere valutati non solo in base alla situazione clinica, ma anche alla percezione del malato. Il cancro è una cattiva compagnia, ma se è accompagnato dal disinteresse e l’abbandono da parte di chi ci dovrebbe curare, diventa una tragedia. Bisogna quindi rifondare i piani terapeutici per i malati oncologici, in modo da non lasciare solo il paziente nel tempo che intercorre fra il momento della diagnosi e l’inizio della cura, e che a lui può sembrare un’eternità. Per esempio all’Istituto europeo di oncologia abbiamo creato un ambulatorio di radioterapia rapida per offrire un accesso di emergenza, al di là della liste di attesa, per i pazienti che hanno sintomi gravi. Se il paziente non va abbandonato mentre è in attesa di una terapia, tantomeno lo deve essere nella fase terminale, quella che Marcello ha vergognosamente vissuto al Pronto soccorso. Quando si arriva nel momento in cui la malattia ha vinto, il medico e l’infermiere dovrebbero riscoprire il loro ruolo millenario che è quello di dare sollievo, nella convinzione che, se la battaglia contro la malattia è perduta , può essere ancora vinta quella per la salvaguardia della dignità del malato.
Da ministro della Sanità ho voluto istituire la “Giornata del sollievo” perché questa cultura si radicasse nel Paese. In questa battaglia la lotta al dolore assume la priorità. Abbandonare le cure mediche a favore delle cure di sollievo o palliative significa restituire al malato il processo naturale del morire, evitandogli però, fin dove è possibile, il dolore che spesso in natura lo accompagna. E alle terapie palliative va aggiunta l’umanità del medico. Se i farmaci possono togliere il dolore fisico, solo il dialogo e l’attenzione del medico possono risolvere la sofferenza dello spirito. Una medicina che non ha la cultura del morire è una medicina monca e inadeguata. C’è da sperare che il dramma di Marcello aiuti a prendere coscienza di questa verità.