Repubblica 5.10.16
Roma, strazio al San Camillo
L’umanità perduta al Pronto soccorso
di Umberto Veronesi
LA
VICENDA di Marcello Cairoli, malato di cancro lasciato morire senza
cure nell’abbandono di un Pronto soccorso, è straziante ma
fortunatamente non è frequente. Non per questo, però, è meno grave. È
assurdo che in una città civile come Roma accadano fatti così terribili
dal punto di vista umano. Per l’inciviltà non esistono né scusanti né
giustificazioni. Dal punto di vista sanitario, invece, si può tentare di
capire e porre rimedio, perché il problema ha radici che affondano nel
principio stesso di tutela della salute.
In caso di malattie
gravi, come il cancro, i tempi di attesa degli ospedali per una terapia
devono essere valutati non solo in base alla situazione clinica, ma
anche alla percezione del malato. Il cancro è una cattiva compagnia, ma
se è accompagnato dal disinteresse e l’abbandono da parte di chi ci
dovrebbe curare, diventa una tragedia. Bisogna quindi rifondare i piani
terapeutici per i malati oncologici, in modo da non lasciare solo il
paziente nel tempo che intercorre fra il momento della diagnosi e
l’inizio della cura, e che a lui può sembrare un’eternità. Per esempio
all’Istituto europeo di oncologia abbiamo creato un ambulatorio di
radioterapia rapida per offrire un accesso di emergenza, al di là della
liste di attesa, per i pazienti che hanno sintomi gravi. Se il paziente
non va abbandonato mentre è in attesa di una terapia, tantomeno lo deve
essere nella fase terminale, quella che Marcello ha vergognosamente
vissuto al Pronto soccorso. Quando si arriva nel momento in cui la
malattia ha vinto, il medico e l’infermiere dovrebbero riscoprire il
loro ruolo millenario che è quello di dare sollievo, nella convinzione
che, se la battaglia contro la malattia è perduta , può essere ancora
vinta quella per la salvaguardia della dignità del malato.
Da
ministro della Sanità ho voluto istituire la “Giornata del sollievo”
perché questa cultura si radicasse nel Paese. In questa battaglia la
lotta al dolore assume la priorità. Abbandonare le cure mediche a favore
delle cure di sollievo o palliative significa restituire al malato il
processo naturale del morire, evitandogli però, fin dove è possibile, il
dolore che spesso in natura lo accompagna. E alle terapie palliative va
aggiunta l’umanità del medico. Se i farmaci possono togliere il dolore
fisico, solo il dialogo e l’attenzione del medico possono risolvere la
sofferenza dello spirito. Una medicina che non ha la cultura del morire è
una medicina monca e inadeguata. C’è da sperare che il dramma di
Marcello aiuti a prendere coscienza di questa verità.