giovedì 6 ottobre 2016

Corriere 6.10.16
Il referendum ungherese. Il vero disegno di Orbán
risponde Sergio Romano

Molti dei principali quotidiani italiani hanno commentato favorevolmente il mancato raggiungimento del quorum nel referendum ungherese, dando quindi un significato positivo all’astensione. Ma l’astensione si può definire davvero una scelta? La quasi totalità del 44% votanti si è espressa per il No ed è, questa, l’unica vera certezza di quel voto. E,
in tutta franchezza, non trova che con questa percentuale il premier ungherese non abbia tutti i torti quando preannuncia che vi saranno ugualmente conseguenze politiche, astensione a prescindere?
Mario Taliani

Caro Taliani,
Credo che nel referendum voluto da Viktor Orbán la questione dei migranti fosse soltanto un pretesto. Se il presidente ungherese avesse voluto opporsi alla loro ripartizione fra i membri dell’Ue, avrebbe potuto limitarsi alla linea della resistenza burocratica adottata sinora dalla grande maggioranza degli altri Paesi. Il suo vero obiettivo è nascosto nella formula del quesito agli elettori: «Volete che la Ue decreti un ricollocamento obbligatorio di cittadini non ungheresi in Ungheria senza l’approvazione del Parlamento?». Se il quorum fosse stato raggiunto, Orbán avrebbe ottenuto ciò che maggiormente desiderava: un primo duro colpo al primato della legge europea sulle leggi nazionali. Ora, dopo il fallimento del referendum, Orbán ha annunciato che ricorrerà, per raggiungere lo stesso scopo, a una modifica della Costituzione.
Il primato della legislazione europea è la chiave di volta dell’Unione, il principio che le ha consentito di crescere creando spazi unitari sempre più estesi. Per entrare nella Ue, il governo britannico, nel 1972, fece approvare dalla Camera dei Comuni un «European Communities Act» che sanciva la validità della legge europea nel territorio nazionale. Negli scorsi mesi il Primo ministro Theresa May ha annunciato che l’Atto del 1972 verrà revocato. Ma la Gran Bretagna ha deciso di uscire dall’Unione e promette di avviare entro il prossimo mese di marzo la procedura prevista dall’articolo 50 del Trattato. Orbán, invece, vuole conservare dell’Unione ciò che gli conviene (fra cui i fondi infrastrutturali e i benefici della politica agricola comune) e sbarazzarsi del resto: vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Se questo è il suo disegno, l’Europa ha il diritto di ricordargli che la presenza nell’Ue richiede impegni a cui è possibile sottrarsi soltanto ricorrendo all’art. 50. Se non lo facesse, altri Paesi membri dell’Ue e in particolare quelli del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) avrebbero il diritto di pretendere dall’Unione lo stesso trattamento.