La Stampa 5.10.16La rivoluzione inglese di May
“Prima i britannici”
“Siamo il partito dell’uguaglianza”
Ieri ha presentato il suo manifesto conservatore per il Regno Unito
Al congresso dei conservatori il premier punta a erodere i voti a sinistra
La sua idea di Regno Unito: filtro ai confini, meritocrazia e più Stato
di Alberto Simoni
Theresa
May arriva sul palco dell’Icc di Birmingham sulle note di «Start Me Up»
dei Rolling Stone. Per spezzare l’emozione le basta una battuta. Si
rivolge a Boris Johnson chiedendogli se riesce a restare per quattro
giorni consecutivi concentrato sul messaggio da portare. «Start me Up»,
accendimi. May parla per 56 minuti illustrando il suo Regno Unito e
sembra mettere in mano ai suoi le armi per portare a termine la
missione. Che non è solo la Brexit, è ridisegnare il Paese,
dall’istruzione alle politiche fiscali, dalla sanità alla sicurezza.
Domenica ha mostrato all’Unione europea che non ci sono piani B, che
«Brexit means Brexit» e che lei è arrivata al 10 di Downing Street per
portare a compimento il voto con cui 17 milioni di britannici hanno
detto di chiudere con l’esperienza europea dopo 43 anni. Ieri il primo
ministro da 84 giorni ha parlato al Regno Unito guardando oltre lo
steccato tradizionale dei conservatori. Cercando anzi di conquistare
altri territori.
Ringraziando all’inizio David Cameron, lo ha
chiuso nell’album dei ricordi. Il suo conservatorismo sarà diverso,
sociale, niente Big Society, comunità che si autoregolano. Elogia lo
Stato interventista, «serve per portare equilibrio e giustizia laddove
individui, società e mercato da soli non riescono». Schiaffeggia i
manager, «non hanno fatto sacrifici dopo la crisi, quella l’hanno pagata
gli altri, i comuni cittadini», e li mette sull’attenti (non solo
loro): chi non paga le tasse verrà inseguito da questo governo. Cita la
Thatcher («ci ha insegnato a seguire i sogni»), Churchill e Disraeli e a
sorpresa un premier laburista, Clement Attlee, quello della
ricostruzione.
Poi si erge a paladino dei lavoratori. È qui che
May va a caccia del nuovo centro gravitazionale. Vuole un governo
incisivo, «che faccia cose buone» e un Partito conservatore alla stregua
di un Partito della nazione che si espande a destra e a sinistra,
socialmente inclusivo, ricchi e poveri, periferia, cittadine, campagne e
Londra. Lì si annidano le élite liberal, «più attente ai rapporti
internazionali che alla gente della strada». Per questo May dice: «Siamo
noi il partito dei lavoratori», una frase che solo qualche lustro fa
avrebbe fatto gridare allo scandalo. D’altronde i laburisti, titolari
del marchio «partito dei lavoratori», dice «sono divisi e divisivi»,
«sono un partito dell’odio». Quando parla di disuguaglianza e laburisti
alza un po’ i toni. «Basta con questa presunta superiorità morale, non
sono loro i monopolisti della compassione».
Theresa May ha le idee
chiare. «Il cambiamento sta arrivando», dice (è la frase con più
ripetizioni, dieci) e l’idea di come sarà il Regno Unito fra qualche
anno, quando la Brexit sarà nero su bianco e non solo sulle schede
elettorali, sembra stampata nella mente del Primo ministro. Ha una
visione «ma senza determinazione, le visioni non servono» dice in uno
dei passaggi del suo discorso più apprezzati. «È come un medico» la
descrive uno che con lei ha lavorato molto. «Osserva, fa gli esami, e
poi la diagnosi, quindi agisce». Non vuole rompere con Bruxelles e lo
dice con chiarezza quando auspica scambi di beni e servizi in un mercato
unico. «Brexit non significa solo riprendersi il controllo dei confini,
è altro, è la possibilità di creare qui il nostro destino». È ferma nel
ricordare che non vuole che gli inglesi siano soggetti alle leggi
europee, che sia quella sui diritti umani o quella sulla libera
circolazione.
Non serve fantasia, basta passare in rassegna non
solo i suoi discorsi, ma anche quelli dei suoi ministri, per capire che
il Regno Unito di May sarà meno aperto all’immigrazione e selettivo
sugli ingressi, sarà teso alla ricerca dell’eccellenza in campo
universitario e medico, volto a mantenere la leadership sui mercati
finanziari e capace di stare al mondo e di relazionarsi con Paesi
immensi grazie a un mix di innovazione e tradizione che affonda le
radici nella storia. Proverà a ridurre le diseguaglianze. «Voglio un
Paese dove ci sia opportunità e meritocrazia. Dove chiunque, non importa
da dove venga e di chi sia figlio, abbia le stesse chance di riuscire».
Per questo nel mondo di Theresa May serve il governo. Il suo.