lunedì 3 ottobre 2016

Repubblica 3.10.16
Nel 27°anniversario della Germania riunificata parla l’ex sindaco Wagner
Oggi con Merkel celebra il giorno della Germania “riunificata”. Ma 27 anni fa l’ex sindaco Wagner partecipò alla rivolta che stava per degenerare di fronte al Kgb
Quella notte a Dresda Putin salvò la rivoluzione pacifica della ex Ddr
di Tonia Mastrobuoni

Dopo l’attacco al quartier gerale della Stasi qualcuno urlò: “E adesso andiamo a sciogliere il Kgb”
Il giovane ufficiale armato minacciò i manifestanti. Così la protesta rimase pacifica e vinse. Lui era Vladimir Putin
Herbert Wagner, 68 anni, ingegnere elettronico, è diventato sindaco di Dresda nel 1990, con la riunificazione delle due Germanie

DRESDA HERBERT Wagner non si mette il vestito buono soltanto per Angela Merkel. Oggi sarà tra gli ospiti d’onore delle celebrazioni del 3 ottobre a Dresda, con la cancelliera e il presidente della Repubblica, Joachim Gauck. Wagner fu tra i protagonisti della “rivoluzione pacifica” del 1989 che fece cadere il Muro e della difficile transizione verso la Riunificazione. E il suo vestito migliore, l’ex sindaco di Dresda lo indossa anche quando fa la guida ai comuni mortali attraverso i luoghi dell’orrore della Ddr, con tanto di cartellino appuntato al bavero. Ma mentre visitiamo il vecchio carcere della Stasi del capoluogo sassone, l’ingegnere elettronico prestato alla politica ci racconta una notte incredibile di quell’autunno che chiuse la ferita più dolorosa per la Germania. La notte che un giovane ufficiale del Kgb di nome Vladimir Putin salvò la rivoluzione pacifica.
«ALL’INIZIO di dicembre, cominciammo a vedere dense nuvole di fumo salire dai comignoli del quartier generale della Stasi», racconta Wagner. Un mese dopo la caduta del Muro, mentre Helmut Kohl stava già imprimendo un’accelerazione mostruosa al processo di unificazione, i vecchi bonzi dei servizi segreti della Ddr avevano cominciato a bruciare e a tritare le schede e i documenti degli archivi. A Berlino e a Lipsia, centinaia di cittadini avevano già preso d’assalto le sedi dei servizi per impedire che miriadi di informazioni — anche le identità delle famose spie segrete — venissero distrutte. Quando anche a Dresda si cominciò a sospettare che qualcosa di marcio stesse avvenendo al quartier generale della Stasi, Wagner e altri attivisti si mobilitarono. Il 5 dicembre fu convocata una manifestazione davanti alla sede della Stasi, a Bautzner Strasse.
«A Lipsia i manifestanti avevano già occupato tutto. Ma noi non lo sapevamo», ricorda. «Chi sapeva era il capo della Stasi qui a Dresda, il generale Horst Boehm. E tentò disperatamente una mediazione, proprio per impedire un epilogo come a Lipsia e continuare ad annientare i preziosissimi archivi. Ci propose addirittura una discussione pubblica: circostanza inimmaginabile, poche settimane prima. Boehm era un generale della Stasi vecchio stampo: rigido, ligio al dovere, crudele, intransigente. Ma il Muro era caduto e anche gli uomini di Erich Mielke avevano una paura folle».
I manifestanti furono lasciati entrare nel quartier generale della Stasi, ma il tentativo di dibattito si rivelò un dialogo tra sordi: i primi chiedevano di poter ispezionare gli uffici per essere sicuri che le voci sulla distruzione dei documenti che circolavano fossero false, ma gli uomini dei servizi non volevano sentire ragioni e cominciarono a dire che i manifestanti dovevano andarsene. «A un certo punto Boehm disse “nessuno vuole distruggere i documen-ti!”: per noi fu la prova che lo stavano facendo».
La situazione divenne drammatica: «La manifestazione si trasformò in un’occupazione e Boehm fu costretto a consegnarci la sua arma. Per lui, fu il momento della capitolazione». Ma mentre Wagner scortava fuori il capo della Stasi di Dresda, i manifestanti cominciano a stringerlo e iniziarono a sputargli addosso, a strattonarlo, a prenderlo a schiaffi. «Gli diedero una botta talmente forte che cadde in ginocchio». Wagner cominciò a gridare, a invitare i manifestanti alla calma: «Boehm stava rischiando il linciaggio ». Come ogni attivista, Wagner sapeva che tra i manifestanti e tra i rivoluzionari si erano sempre mescolati dei provocatori della Stasi. E bisognava evitare in tutti i modi ciò che fino ad allora era stato miracolosamente evitato durante i mesi della caduta del Muro: lo spargimento di sangue. Wagner riuscì a scortare fuori il generale sano e salvo. Boehm non morì per i rivoluzionari, ma per la rivoluzione: nei primi mesi del 1990 si sparò un colpo alla testa.
Pochi minuti dopo il salvataggio di Boehm, un gruppetto di manifestanti si lanciò verso il quartier generale del Kgb, che distava a pochi metri, nascosto in una villa, al grido di «e adesso sciogliamo il Kgb!». Era poco prima di mezzanotte di quel fatidico 5 dicembre. Di nuovo, Wagner temette il peggio: «Ero terrorizzato: non potevamo provocare i sovietici». Ma quando i rivoluzionari inferociti arrivarono al quartier generale dei servizi dell’URSS, un giovane ufficiale dal volto serio e lo sguardo torvo, scese subito a chiarire un concetto. Si chiamava Vladimir Putin, era maggiore dei servizi sovietici, di stanza a Dresda.
Poco è ancora stato scritto sui misteriosi cinque anni che il futuro presidente russo trascorse in Germania est. Un testimone dell’epoca, ex pezzo grosso della Stasi, Klaus Z, raccontò ai giornali tedeschi che Putin cercò per esempio di ricattare in quel periodo un professore di medicina dell’università di Dresda per estorcerne i segreti sui veleni che non lasciano traccia, compresi quelli radioattivi. Un dettaglio che suona inquietante, alla luce della misteriosa fine di alcuni dissidenti come Litvinenko, negli ultimi anni.
Ma tornando alla drammatica notte del 5 dicembre, quando scese ad affrontare i manifestanti, tanto per segnalare quanto facesse sul serio, il giovane Putin impugnò una pistola. E sibilò: «Questo è territorio sovietico. Il primo che varca la soglia d’ingresso sarà fucilato».
I manifestanti, per la prima volta, arretrarono. «Sembra un paradosso, ma non lo è», conclude Wagner. «Se possiamo ancora chiamarla rivoluzione “pacifica”, se possiamo ancora dire che conquistammo la libertà senza un solo morto, dobbiamo ammettere che tutto ciò è avvenuto anche grazie a Vladimir Putin».