Repubblica 3.10.16
Pericolo scongiurato ma resta lo scontro
di Andrea Bonanni
BRUXELLES
È MOLTO mitigato il sollievo che si respira a Bruxelles per il mancato
raggiungimento del quorum nel referendum anti immigrati e anti-Ue
ungherese. Orbán subisce un evidente smacco politico. Nonostante la
natura populista del quesito referendario.
E nonostante la
massiccia mobilitazione dei media controllati dal governo, la
maggioranza degli ungheresi non è andata a votare per bandire i
rifugiati.
Ma il parlamento di Budapest, largamente controllato
dalla destra nazionalista, potrà agevolmente farsi interprete di quel 90
e più per cento di cittadini che hanno espresso nell’urna il loro
rifiuto al sistema delle quote obbligatorie di accoglienza e al diritto
della Ue di imporle. Lo stesso Orbán ha già anticipato che proprio
questa sarà la linea che andrà a difendere in Europa.
Lo scontro,
dunque, rimane. E non solo sulla irrisoria cifra di 1.300 rifugiati che
l’Ungheria avrebbe dovuto ospitare e che rifiuta. Ormai la speranza di
riuscire a ricollocare i 160mila richiedenti asilo che si trovano in
Grecia e in Italia e che la Ue voleva ridistribuire in due anni tra gli
Stati membri appare destinata a restare nel limbo delle nobili
intenzioni.
Se i Paesi dell’Est la rifiutano come il simbolo della
prevaricazione di Bruxelles sulle sovranità nazionali, altri, come la
Francia, dicono di approvarla ma poi accettano i ricollocamenti con il
contagocce.
La Commissione di Jean-Claude Juncker insiste sulla
obbligatorietà della redistribuzione e propone di far pagare una multa
esorbitante a chi non rispetta le quote assegnate. Ma all’ultimo vertice
di Bratislava, quello che ha fatto arrabbiare Matteo Renzi, i capi di
governo hanno assunto un atteggiamento molto più morbido, affermando che
le quote sono un principio giusto che però deve essere applicato su
base volontaria. In termini legali, poi, se anche il referendum
ungherese avesse raggiunto il quorum e fosse stato giudicato valido, per
la giurisprudenza europea non avrebbe avuto alcun valore.
Le
decisioni comunitarie adottate a maggioranza, come quella sulla
redistribuzione dei migranti, sono vincolanti per tutti i Paesi,
indipendentemente dall’avallo dei Parlamenti nazionali. L’unico modo
legale di rifiutarne l’applicazione, è avviare una procedura di uscita
dall’Unione europea. E poiché nessuno, all’indomani della Brexit, si
augura un’altra secessione, sia pure di un membro scomodo come
l’Ungheria di Orbán, questo spiega le ragioni del sollievo di Bruxelles.
Sollievo che sarà comunque di breve durata se il Parlamento ungherese
dovesse comunque sfidare la decisione europea.
Il problema,
dunque, è e resta quello di una scelta politica. Ma anche di una
spaccatura più profonda, che incrina il vincolo di solidarietà alla base
del contratto europeo. Se infatti alla fine dovesse prevalere la linea
della prudenza pragmatica, con una rinuncia implicita all’obbligatorietà
delle quote di redistribuzione, questo non diminuirebbe la portata
della frattura.
E se anche le multe proposte dalla Commissione non
dovessero trovare applicazione, si può star certi che in occasione
della definizione del prossimo bilancio europeo pluriennale la
generosità dei Paesi che sono contributori netti (tra cui l’Italia) nei
confronti dell’Est europeo che ha rifiutato la propria solidarietà sui
migranti sarà pesantemente rivista al ribasso.