Repubblica 3.10.16
Una “gola profonda” sbugiarda Trump “Non pagò le tasse per 18 anni”
Scoop del New York Times sui redditi del candidato
Le prove in una lettera anonima dalla Trump tower
Formalmente
non sarebbe stata violata alcuna legge: ma il danno di immagine è
fortissimo Gli avvocati del tycoon minacciano azioni legali contro il
quotidiano ma non smentiscono
di Federico Rampini
NEW YORK ALMENO per quanto riguarda l’imposta federale sul reddito, la cifra è probabilmente zero. Per 18 anni.
Tra
gli ingredienti del giallo c’è una “gola profonda” che manda
informazioni alla stampa in una busta su carta intestata dal quartier
generale del tycoon newyorchese. (Il popolo di Twitter scatena le
ironie: è la figlia Ivanka!) E c’è il direttore del New York Times
«disposto a finire in carcere» pur di dare ai lettori lo scoop fiscale.
Perché i legali di Trump minacciano fuoco e fiamme contro il quotidiano
newyorchese, impegnato in una campagna implacabile per mettere a nudo
bugie, contraddizioni, irregolarità del 70enne immobiliarista che vuole
conquistare la Casa Bianca ma respinge sdegnosamente le richieste di
trasparenza.
E’ dall’inizio della campagna elettorale che Trump si
rifiuta di divulgare le sue dichiarazioni dei redditi, calpestando una
tradizione dei candidati alla Casa Bianca inaugurata da Richard Nixon,
anno di grazia 1972. Hillary Clinton glielo ha rinfacciato lunedì scorso
al duello in tv, insinuando una possibile ragione: «Cos’hai dai
nascondere? Forse che non paghi tasse federali?». Esatto. Lo scoop del
New York Times avalla proprio quella spiegazione. Uno scoop sui generis,
perché per mesi è rimasta a mani vuote la squadra di reporter del
quotidiano che era a caccia delle dichiarazioni dei redditi del
candidato. Poi, pochi giorni fa, qualcuno gli ha spedito per posta
ordinaria, in busta di carta, l’ambito trofeo. O almeno una parte,
perché ad arrivare in redazione è stata solo la dichiarazione dei
redditi del 1995. Roba vecchia, ma lì dentro il New York Times ha
trovato un’informazione preziosa, dopo aver verificato l’autenticità del
documento col commercialista che lo preparò 21 anni fa. In quell’anno
Trump dichiarò perdite così pesanti (quasi 916 milioni di dollari), che
spalmandole sugli esercizi fiscali successivi può essere riuscito a non
pagare imposte federali sul reddito per 18 anni successivi.
E’
questa la verità imbarazzante che può avere spinto il candidato
repubblicano a negare agli elettori le sue informazioni fiscali. Per
quanto lui si vanti di essere un uomo d’affari abile, e quindi attento a
minimizzare le imposte dovute, scoprire che non ne paga proprio può
essere un danno d’immagine. Almeno per quella stragrande maggioranza di
contribuenti americani che ogni anno versano il dovuto al fisco, pagando
aliquote che arrivano al 39,6% (solo di imposta federale sul reddito, a
cui vanno aggiunte le Irpef locali) su redditi molto inferiori a quelli
dell’immobiliarista newyorchese.
Lo staff del candidato, di
fronte alla richiesta di confermare o smentire la veridicità del
documento, non l’ha smentita ma ha detto che «è stato ottenuto in modo
illegale». Un comunicato afferma che «Mr Trump è un uomo d’affari
esperto, ha la responsabilità verso la sua azienda, la sua famiglia e i
suoi dipendenti di non pagare più tasse del dovuto».
Le minacce di
azioni legali non spaventano il direttore del New York Times, Dean
Baquet: in un convegno all’università di Harvard il 12 settembre lui si
dichiarò «disposto a finire in carcere pur di ottenere quelle
dichiarazioni dei redditi e metterle a disposizione degli elettori».
Dal
quartier generale di Trump emergono due strategie difensive. La prima
sottolinea che il candidato non ha violato la legge: è la normativa
fiscale che consente di riportare una grossa perdita su più esercizi
successivi, compensando così gli utili degli anni seguenti. Una
non-notizia, dunque? Salvo che Trump si spaccia per un gigante del
business, ma un imprenditore che non fa utili non è proprio un genio del
capitalismo.
L’altro messaggio, più aggressivo, lo anticipò lo
stesso Trump rispondendo alle accuse di Hillary: «Sono smart», sono
furbo. Conclusione: «Chi meglio di me può riformare un sistema marcio?».
Sui
media il coro dei commenti è di tutt’altro segno, la vicenda fiscale
viene aggiunta a una serie di gaffe che hanno invertito la tendenza nei
sondaggi, tornati a favorire la Clinton.