lunedì 31 ottobre 2016

Repubblica 31.10.16
La mistica dei numeri nel saggio di Paolo Zellini
Matematica l’arte di rubare la sapienza al divino
Oggi tutto nasce sotto le leggi dell’algoritmo dai servizi urbani alle grandi migrazioni In Platone e nel Rinascimento, geometrie e calcoli hanno una forte impronta spirituale
di Antonio Gnoli

Acosa serva la matematica più o meno tutti riusciamo a capirlo: dare, con il linguaggio dei numeri, un senso e un ordine al mondo. È una semplificazione. Basti pensare a come le cose si complicano solo volgendo lo sguardo allo sviluppo delle matematiche (il plurale è d’obbligo) negli ultimi quattro secoli. Quel mondo abitato da formule, figure, simboli ed enti richiede uno sforzo mentale notevole per comprenderne il senso. Naturalmente ci sono matematici inclini alla divulgazione, altri alla sua storia. Matematici puri e matematici che hanno superato i confini dello specialismo e allargato la qualità
di una disciplina, considerata sovente astratta, agli altri saperi. Tra questi spicca Paolo Zellini. Ricordo una sua breve e stimolante
Storia dell’Infinito apparsa da Adelphi nel 1980. Altri suoi lavori seguirono per la stessa casa editrice. Tutti animati dalla precisa volontà di spiegare che la matematica non un mondo chiuso e che anzi molte delle sue intuizioni si intrecciano con la filosofia e la religione. La conferma arriva dal nuovo lavoro di Zellini: La matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini.
Da un titolo del genere il lettore può dedurre due cose: la prima è che ci fu un tempo in cui la calcolabilità del mondo era suggerita dalla parola divina o, meglio, da uomini ispirati da Dio; la seconda concerne il termine “algoritmo”, di cui occorre chiarirne la recente fortuna. Anche perché l’uso attuale si è imposto a diversi livelli di conoscenza del mondo. Tutto, oggi, sembra inscriversi sotto le leggi dell’algoritmo: dall’informatica, il suo uso si è progressivamente esteso alla borsa, alle autostrade, ai servizi urbani, alle nascite e alle morti, ai flussi culturali come a quelli migratori, alle guerre e agli armistizi. Ma che cos’è questa misteriosa chiave universale che sembra aprirci ogni porta e dominare, prevedendolo, ogni nostro gesto?
Fin dai tempi antichi l’algoritmo ha svolto una sua funzione minima ma essenziale: grazie a una procedura data e a una serie di regole elementari, risolve un problema. Valeva ai tempi di Euclide e continua a valere oggi. Anche se il concetto di algoritmo ha subito nel corso del Novecento un’ulteriore evoluzione. Che non è soltanto computazionale. Lo sviluppo della sua scienza fu, infatti, determinato anche dalla necessità delle matematiche, ormai esposte a livelli di astrazione vertiginosa, e alla crisi dei propri fondamenti, di conservare e potenziare gli aspetti più realistici.
Ma cosa significa “realtà” in matematica? È un quesito che corre lungo tutto il libro di Zellini. Tanto più importante in quanto messo a dura prova sia dai paradossi che la matematica ha prodotto nei secoli (si pensi a quello celebre di Zenone) sia perché nel XX secolo, la matematica post- euclidea ha rotto definitivamente con il senso comune. Chi prenda in esame — sono solo esempi — il concetto di infinito in Cantor (più grande dell’infinito ottenuto con i numeri naturali), o la messa in discussione del quinto postulato euclideo avanzata da Gauss e Lobacevskij, può farsi una vaga idea del modo in cui le matematiche si allontanarono definitivamente da una relazione percettiva dello spazio e del tempo. Si sarebbe perciò tentati di leggere questa rivoluzione come la radicale presa di distanza dalla realtà. Fu Hardy, in Apologia di un matematico (un libro che si dovrebbe leggere per l’incanto e il rigore con cui è difesa una disciplina sovente accusata di astrusità), a far proprio il richiamo alla realtà. Zellini condivide quell’appello e ci dice, coerentemente, che la matematica per quanto possa essere creativa va ritenuta una scoperta più che un’invenzione. Inoltre, diversamente da ciò che pensava Bertrand Russell (non era il solo), la matematica non si fonda sulla logica, ma sulla realtà.
Ma che cosa è il reale in matematica? Quando diciamo che un numero è reale intendiamo la stessa cosa se dicessimo che il cielo è reale, la casa è reale, il linguaggio con cui comunichiamo è reale? È plausibile, si chiede Zellini, che la realtà del numero dipenda dal mondo fisico? Se si guarda alle applicazioni delle matematiche nell’ambito della fisica, dell’economia, dell’ingegneria, dell’informatica o della chimica verrebbe spontaneo pensare che Galileo avesse ragione da vendere affermando che l’universo è scritto nella lingua della matematica. Ma il punto è che se per un verso la lingua della matematica presuppone il mondo fisico, se ne fa precedere, dall’altro è come se si autonomizzasse da esso. Gli enti matematici, dunque, sono reali anche per forza propria e in virtù di una ragione che li pensa e li sublima in una idea di perfezione e di ordine, di concatenamento e crescita. Si pensi al concetto di enumerazione, il cui impiego fu noto già tra le più antiche civiltà. L’uso dell’enumerazione (elenco delle navi nell’Iliade, o il gregge di foche che Proteo passa in rassegna contandole cinque a cinque) aveva il compito, o meglio il potere, ci ricorda Zellini «di far diventare reali cose, uomini e dèi per mezzo di un gesto dimostrativo», quello appunto del calcolo. Le enumerazioni che ricorrono in Omero, in Eschilo, in Esiodo sono fondamentalmente prerogative del logos. Che non è solo parola o discorso, ma altresì relazione e rapporto. È chiaro che riducendo la moderna scienza del calcolo a mero espediente tecnico si sono perse tutte le numerose implicazioni filosofiche, mitologiche, religiose e rituali che sono alla base di molte costruzioni matematiche.
Alcune formule sapienziali, ancora impregnate di pensiero mitico, sono, osserva Zellini, allusioni indirette al numero e alla geometria. Le troviamo in Platone e in Boezio, nei pitagorici e nei neoplatonici, nella filosofia del Rinascimento e nel pensiero religioso da Filone di Alessandria in poi. Nell’antica Grecia la risoluzione di un problema implicava un’offerta votiva agli dèi. In ambito filosofico, la visione metafisica di Parmenide non è estranea a una concezione matematica del mondo. Per non parlare di Platone per il quale il numero non è solo molteplicità ma sintesi tra uno e molteplice, l’ultima difesa (insieme all’anima) dell’esistenza in atto.
Nella storia di ogni sapere ci sono svolte e rotture. La matematica ha conosciuto vari momenti fondamentali. Se si lascia sullo sfondo Euclide e si va direttamente al mondo moderno si coglierà l’importanza nel XVII secolo del calcolo infinitesimale, nel XIX della ricerca dei fondamenti e nel XX secolo degli algoritmi e del calcolo digitale. In ogni passaggio non c’è stato un allontanamento dalla realtà. Bensì un diverso modo di accostarsi a essa e alle sue leggi. Il libro di Zellini, con qualche tecnicismo necessario, ce ne svela il senso e la magnifica avventura mentale.