Repubblica 31.10.16
Le relazioni intricate tra mafia, politica e economia
Le collusioni di ieri uguali a quelle di oggi nel nuovo saggio del magistrato Nicola Gratteri
L’Italia della corruzione: quel lungo filo nero fra boss e colletti bianchi
di Attilio Bolzoni
L’Italia
della corruzione e delle sue mafie, prima e dopo. L’Italia dei patti e
delle trame, sempre. L’Italia dove il «camorrista ripulito» diventa capo
elettore a Napoli nel 1874 e dove i boss calabresi allungano le mani
sui fondi del terremoto del 1908, come lo faranno cent’anni dopo
all’Aquila nel 2009. Ogni volta sembra tutto nuovo ma purtroppo tutto è
già accaduto. Mafiosi, corrotti e corruttori, sciacalli, ladri. E i
famigerati “colletti bianchi” che sono e sono sempre stati la faccia
pulita dei poteri criminali. C’erano ieri e ci sono ancora oggi. Come
gli ‘ndranghetisti, che da quando esistono — lo ricorda Corrado Alvaro
parlando del suo paese, San Luca, sull’Aspromonte — «formavano uno degli
aspetti della classe dirigente».
Il titolo è Padrini e Padroni
(Mondadori, pagg. 218, euro 18), libro firmato dal procuratore capo
della repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri e da Antonio Nicaso,
coppia di saggisti che in queste pagine si addentra per la prima volta
nelle relazioni con la politica e l’economia e nei labirinti delle logge
segrete. È la fotografia di una democrazia permanentemente condizionata
dall’uso della forza. Si parte da lontano, dall’inizio. E da una
Calabria che ha una ‘Ndrangheta che ancora prima del 1900 «comincia a
dotarsi di una struttura molto simile a quella attuale, basata su due
livelli», la Società Maggiore e la Società Minore. Si passa dal Fascismo
e dalla repressione poliziesca che schiaccia solo i boss che non hanno
saputo mimetizzarsi (il Duce non fece mai un riferimento alla
pericolosità della mafia calabrese nel suo celebre discorso
dell’Ascensione del 26 maggio 1927) e si sfiora il golpe di Junio
Valerio Borghese dove la ‘Ndrangheta non si fece coinvolgere, per
arrivare ai giorni nostri. Ai De Stefano e ai Piromalli, ai Nirta, ai
“boia chi molla” della rivolta di Reggio del 1970, ai Tripodo e ai
Macrì. La prima e la seconda guerra di ‘Ndrangheta, in mezzo prima
“l’industria dei sequestri” e poi la scoperta del grande traffico di
stupefacenti, l’inizio della colonizzazione del Nord e l’espansione nel
mondo.
In questa parte del libro, Gratteri e Nicaso ricordano —
dimenticato da tutti — il primo omicidio eccellente della Calabria. Un
magistrato, Francesco Ferlaino, avvocato generale dello Stato alla Corte
di appello di Catanzaro. Ucciso il 3 luglio del 1975. E, subito dopo il
delitto, dal suo ufficio sparì una relazione preparata per il Consiglio
Superiore della Magistratura «sulle presunte collusioni di diversi
magistrati con la ‘Ndrangheta». E poi gli omicidi del presidente delle
Ferrovie Ludovico Ligato e del sostituto procuratore della Cassazione
Antonino Scopelliti, molto tempo dopo l’agguato contro il vicepresidente
del consiglio regionale Francesco Fortugno. Un filo nero, una mafia
calabrese sempre più aggressiva e potente e un’Italia che sta a
guardare, che se la trova vicina a Milano o a Torino o in Emilia ma fa
finta di niente, che nega (come non ricordare prefetti e questori che
sino a qualche anno fa si scandalizzavano dei giornalisti che
raccontavano delle mafie al Nord?) e intanto tratta. E, come all’inizio
di Padrini e Padroni, nelle ultime pagine ancora la politica. Con i boss
che non amano schierarsi. «Ha vinto la sinistra e ci siamo spostati
tutti a sinistra. Ha vinto la destra e siamo andati tutti a destra», è
la frase pronunciata da un boss di Condofuri e intercettata da una
microspia. Il finale è tutto dedicato alle cosche che si confondono con
le logge. E a una ‘Ndrangheta sempre più segreta.
IN LIBRERIA Padrini e padroni di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso (Mondadori, pagine 216, euro 18)