Repubblica 2.10.16
Giordano Bruno autobiografia di un processo
di Franco Marcoaldi
Quando
si vedono le cose troppo spesso e troppo da vicino, si finisce per non
vederle più. È il rischio in cui incorre chi passa quotidianamente sotto
la statua di Giordano Bruno, in Campo de’ Fiori, a Roma. Quasi che
quella statua del filosofo bruciato vivo in piazza il 17 febbraio del
1600 avesse perso il suo più profondo, tragico significato.
Per
fortuna sulla medesima piazza c’è una bella libreria, “Fahrenheit 451”:
sul banco compare la ristampa di Giordano Bruno, Un’autobiografia,
curata da uno dei suoi massimi studiosi, Michele Ciliberto, e pubblicata
da Castelvecchi.
Vi appaiono, in successione, le pagine di accusa
e difesa dell’interminabile processo davanti al tribunale
dell’Inquisizione, cominciato a Venezia otto anni prima della condanna a
morte.
La strategia del Nolano si articola in un teatro complesso
e doloroso: un continuo ammettere e ritrarre, grazie a una mobilità
mentale stupefacente, che lo vede passare dalla ritirata al contrattacco
a fronte delle molteplici accuse che gli vengono rivolte: avere
opinioni eretiche sulla Trinità, la transustanziazione, la natura del
peccato… E per aver sostenuto che «il mondo è eterno, et che sono
infiniti mondi, et che Dio ne fa infiniti continuamente perché dice che
vuole quanto che può».
Il filosofo cede dove gli appare utile, ma
torna e ritorna nelle sue parole quell’irrinunciabile primato del “lume
naturale”, di una razionalità antidogmatica e antiautoritaria che
prefigura il cuore pulsante della libertà di pensiero della modernità.
Per arrivare a tanto, però, prima il Nolano dovrà patire le peggiori
atrocità da parte del potere ecclesiastico.
Questo ci ricordano le
pagine del fiammeggiante libretto di Giordano Bruno. E, dopo averle
lette, finalmente anche la sua statua in Campo de’ Fiori si risveglia
dal lungo e incauto letargo a cui per eccesso di abitudine l’avevamo
relegata.