domenica 2 ottobre 2016

Repubblica 2.10.16
Le lacune della campagna preoccupano l’ex presidente
Gli sbagli del leader e i richiami di Napolitano
Il rischio di evocare il populismo e la difesa del Parlamento La ricerca del voto di destra e il processo imitativo di Berlusconi
di Stefano Folli

Ancora una volta Giorgio Napolitano interviene per difendere la riforma costituzionale, di cui è senz’altro il padre, e per criticare Renzi che rischia di compromettere il referendum con i suoi errori politici. È una critica più affilata del solito perché il tempo passa e il No sembra in buona salute nei sondaggi, segno che c’è stato e forse c’è ancora qualcosa di sbagliato nel modo in cui il disegno riformatore viene presentato all’opinione pubblica. Tanto è vero che Napolitano usa un argomento inesistente nella campagna elettorale dei fautori del Sì, protesi a dimostrare quanto la nuova Costituzione abbatta i costi della politica e riduca il numero dei politicanti. Sono tesi la cui efficacia è da verificare, ma certo sono rischiose perché finiscono per accreditare i toni populisti e anti-parlamentari che ribollono nel paese. Infatti il presidente emerito sceglie di difendere il Parlamento, affermando che la riforma - anziché esautorarlo - gli restituisce un ruolo e una “dignità” dopo anni di progressivo impoverimento della funzione legislativa e di controllo. Napolitano parla ai costituzionalisti critici e al ceto intellettuale che appare incerto. Renzi invece non guarda per il sottile e si rivolge a una vasta platea suggestionata dall’anti-politica.
C’è di più. L’ex presidente teme che il giudizio sul premier vada a offuscare la valutazione della riforma. Anche Renzi se ne rende conto, ma reagisce esponendosi ancora di più. E trattando il referendum sulla Costituzione alla stregua di una campagna per le elezioni politiche: un passaggio in vista di costruire il “partito di Renzi”, in grado di raccogliere i voti del centrodestra. È il filo conduttore del renzismo fin dagli esordi. E nasce da una verità quasi banale: in un paese a forte base moderata, la sinistra si condanna a essere eterna minoranza se non riesce a scalfire la montagna e a conquistare un pezzo di quell’elettorato. L’esempio viene da un politico che Renzi ha sempre ammirato molto, l’inglese Blair, capace di trasformare il “Labour” attraverso una serie di temi assorbiti dal repertorio che era tipico della Thatcher.
La recente storia italiana è alquanto diversa.
L’Ulivo di Romano Prodi seppe contrapporsi a Berlusconi in modo vittorioso senza per questo imitare il modello di Arcore. Prodi si affermò con un tratto originale che univa una tradizione della sinistra cattolica (Dossetti) e un’impronta di moderna cultura manageriale. Con ciò l’Ulivo offriva un porto sicuro ai reduci del comunismo domestico in cerca di una nuova identità. Inoltre Prodi aveva il vantaggio di una personale credibilità quando si presentava come alternativa al berlusconismo. Sappiamo come è andata. Il cartello si dimostrò capace di vincere, o almeno di non perdere nelle urne, ma non riuscì a mantenersi a lungo a Palazzo Chigi, nonostante un’eccellente squadra di governo. Guidò l’Italia nella moneta unica e poi si frantumò nelle risse interne che il presidente del Consiglio non seppe dominare.
Sotto questo profilo Renzi non assomiglia al suo predecessore ulivista. L’inseguimento del voto di destra avviene attraverso un processo imitativo: temi, situazioni, persino certi ammiccamenti sono in continuità con il periodo berlusconiano. Su queste colonne si è già detto del valore simbolico contenuto nell’evocazione del ponte sullo Stretto. Va detto che finora la sovrapposizione non è riuscita: gli elettori di Berlusconi solo in piccola parte si sono trasferiti sotto le nuove insegne e del resto il quadro generale è cambiato. La stagnazione economica, la scarsità di risorse e i livelli del debito pubblico rendono gli anni di Renzi assai faticosi e gli impediscono di replicare l’ottimismo berlusconiano. Ne deriva che il referendum è l’occasione propizia per un premier che si candida a diventare il personaggio centrale della politica italiana nei prossimi anni, a capo di una maggioranza trasversale. Napolitano vede questa prospettiva con qualche apprensione, come un azzardo eccessivo. Viceversa Renzi pensa di non avere alternative: deve correre e vincere per non essere incapsulato dai suoi nemici. E il serbatoio dei voti della destra moderata è per lui di vitale importanza.