Il Sole Domenica 2.10.16
Referendum
Ma così è un danno
di Mauro Campus
L’elemento
più sfuggente dei ragionamenti che da mesi imprigionano il discorso
pubblico è il merito del referendum su cui ci esprimeremo il 4 dicembre
prossimo. Quasi come se i contenuti del quesito siano secondari dinanzi
all’urgenza di una riforma indispensabile per far uscire il Paese dalla
“crisi organica” che lo fa galleggiare da decenni in un mesto e
stagnante orizzonte, che condanna l’Italia a una dimensione periferica
nel processo decisionale dell’Unione europea. Eppure il merito della
riforma, varata da una maggioranza eletta con una legge (porcellum)
incostituzionale, frutto di iniziativa governativa, che non propone un
cambiamento della Costituzione, ma un pacchetto di modifiche, è il
contesto sul quale sarebbe necessario concentrarsi. L’esigenza di
formarsi un’opinione sulla riforma è soddisfatta da una superfetazione
di interventi: raffinate prove di esegesi tecnica, esaltati encomi,
sprezzanti opposizioni alberate sull’ipotesi di dare la spallata finale
all’attuale classe dirigente, e, poi, analisi dalle quali affiora la
fragilità dell’impianto riformistico.
In questo montante muro
bibliografico il contributo di Alessandro Pace rappresenta una sintesi
dei possibili punti di caduta della riforma Boschi. Non si tratta di un
testo neutro, Pace è il presidente del Comitato per il No nel referendum
sulla legge costituzionale, eppure la sua analisi è guidata da un
ragionamento tecnico serrato lontano dagli argomenti politici che così
profondamente influenzano la formazione di un’opinione sulle conseguenze
della riforma. In questo senso, il lavoro di Pace si colloca in
continuità col misurato documento dei 56 costituzionalisti dell’aprile
scorso che è stato subito rubricato a paradigma di resistenza dei
Mandarini che prosperano sull’irriformabilità del Paese. Del resto, a
guardare le cose dalla giusta distanza, la comunicazione con la quale
gli argomenti politici del Sì sono sostenuti appare imbullonata a parole
d’ordine che poco concedono al dibattito. La necessità di accelerare il
procedimento legislativo, raccontato come disperatamente farraginoso,
come ragione prima dei guasti profondi, originari del Paese, aggiornando
il quale - per incanto - tutto sarà più efficiente, sembra l’unico
terreno di discussione.
Le questioni al centro del ragionamento di
Pace sono, invece, il “premierato assoluto”, il tentativo di cambiare
il Senato attribuendo ai consigli regionali il diritto di eleggerlo, il
restringimento degli spazi per l’iniziativa legislativa parlamentare. La
riforma, ricorda fra l’altro Pace, prevede almeno otto tipi di
approvazione delle leggi ordinarie; non compensa l’eliminazione del
Senato con la previsione di contropoteri interni; rimuove, nei rapporti
dello Stato con le Regioni, la potestà legislativa concorrente delle
Regioni senza prevedere una potestà d’attuazione nelle materie nelle
quali lo Stato si limiterebbe a dettare «disposizioni generali e
comuni». Attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in
materie come le politiche sociali, la tutela della salute, il governo
del territorio, l’ambiente e il turismo che costituiscono il cuore
dell’autonomia legislativa regionale. Non conferisce la competenza
legislativa esclusiva in una miriade di materie con la conseguenza di
non attenuare il problema del contenzioso costituzionale Stato-Regioni.
Sono
questioni di merito intorno alle quali poco si discute laddove una
comunicazione abbassata e semplificata, che troppo spesso mostra
scoperte tendenze demagogiche, confonde ulteriormente le carte in
tavola. Il contenimento dei costi della politica (percentualmente
irrilevante) e lo snellimento dei tempi dell’attività legislativa
(omettendo che quando una legge non arriva in fondo è perché non
esistono le condizioni politiche perché essa proceda), sono i due corni
su cui s’insiste pervicacemente, mentre su tutto regna l’argomento che
la riforma non ci porterà nel migliore dei mondi possibili, e, anzi,
dovrà essere adeguata, ma non attuarla ci condannerebbe all’immobilità
perpetua.
Posto che dal 1963 sono state 15 le revisioni della
Costituzione, che dunque difficilmente quella attuale può essere venduta
come “l’ultima spiaggia”, è possibile ritenere un argomento forte
quello che strapparsi furiosamente l’abito vecchio di dosso senza averne
uno nuovo, rischiando di rimanere nudi in mezzo a una strada,
rappresenti il punto di svolta per un Paese che da decenni soffre le
conseguenze del suo inesorabile arretramento?
Alessandro Pace,
Referendum 2016 sulla riforma costituzionale: le ragioni del No ,
Giuffrè, Milano,
http://www.dirittoegiustizia.it/alle–gati/Pace_leragioni_del_NO.pdf