Il Sole 2.9.16
Perché la legge elettorale è importante quanto la riforma costituzionale
di Roberto D'Alimonte
La
legge elettorale è meno importante della riforma costituzionale. Questa
affermazione fatta da Renzi l’altro ieri a Perugia è sbagliata. È vero
esattamente il contrario. Senza una buona legge elettorale la riforma
costituzionale da sola non può favorire la cosa che oggi conta di più, e
cioè la stabilità dei governi. Per cambiare l’Italia, per far fronte
alle sfide della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica
occorrono governi capaci di durare. Governi con un orizzonte temporale
davanti. E per cercare di arrivare a questo risultato il sistema
elettorale è una condizione necessaria anche se non sufficiente. Certo,
non basta la stabilità per assicurare la governabilità. Ma senza
stabilità non possono esserci né governabilità né responsabilità.
Governi instabili sono governi che non devono render conto agli elettori
di quello che fanno o non fanno. Sono governi irresponsabili. E sono i
sistemi elettorali che favoriscono o meno la stabilità dei governi.
In
tempi difficili per i sostenitori del SI fa comodo separare la riforma
costituzionale da quella elettorale. È tattica politica che si regge su
un dato di fatto: il referendum riguarda la riforma della costituzione e
non l’Italicum. La nuova legge elettorale è già stata approvata in
parlamento in via definitiva, anche se solo per la Camera. E può essere
cambiata con legge ordinaria. Quindi con una procedura più semplice di
quella prevista per le modifiche della costituzione. Da qui la
conclusione che il SI al referendum lascia comunque la porta aperta ad
eventuali cambiamenti della legge elettorale. Come se le due riforme
siano indipendenti l’una dall’altra. Sulla carta è così. La riforma
della costituzione è formalmente compatibile con qualunque sistema
elettorale. Il bicameralismo differenziato può coesistere sia con un
sistema proporzionale che con l’Italicum. La nuova ripartizione delle
competenze tra stato e regioni prescinde dal sistema con cui verranno
eletti i deputati. E lo stesso vale per i capitoli della riforma
dedicati al potenziamento degli strumenti di democrazia diretta e alla
riduzione dei costi della politica.
Tutto questo è vero, ma non
coglie l’essenziale. In realtà le due riforme sono strettamente
connesse. Tanto connesse che vivranno o cadranno insieme. La
semplificazione del processo legislativo legata al superamento del
bicameralismo paritario e l’introduzione del voto a data certa sui
provvedimenti prioritari del governo servono a poco se i governi
continueranno a durare meno di un anno come nella Prima Repubblica o
meno di due anni come nella Seconda. È la combinazione di Italicum e
riforma costituzionale - quello che con un brutto termine da chierici
viene chiamato il “combinato disposto” - a creare le condizioni di un
diverso modello di democrazia in cui stabilità e responsabilità del
governo si combinano in modo equilibrato con la rappresentatività del
parlamento. Non è un caso che chi critica la riforma costituzionale lo
fa non solo per i suoi contenuti ma soprattutto per il suo collegamento
con la riforma elettorale. La tesi sbagliata della deriva autoritaria,
che adesso è stata trasformata in deriva oligarchica, trova il suo
fondamento proprio nel collegamento tra le due riforme.
Questo lo
sa bene anche Renzi. Ma il premier è preoccupato per l’esito del
referendum. Le sue ultime dichiarazioni confermano la disponibilità a
trattare sulla riforma dell’Italicum per aumentare le possibilità di
vittoria del SI. Niente di male. La politica è la scienza del possibile.
Ma ci sono dei limiti. Va bene sostituire i capilista bloccati con un
sistema di collegi uninominali proporzionali. Va bene modificare le
candidature plurime. Alla fine va anche bene introdurre il premio alla
coalizione. Tanto le coalizioni si potranno fare o non fare. Basta solo
tener presente però che una modifica del genere aumenterà la
frammentazione del sistema dando più spazio ai partitini e alle
scissioni dei partiti più grandi. Tutto questo si può fare. Sperando che
serva a vincere il referendum, il che non è affatto detto. Quello che
non si deve fare è la cancellazione del ballottaggio o il suo
stravolgimento con accorgimenti come quelli indicati da Onida (si veda
il Sole 24 Ore del 15 settembre).
Il ballottaggio è il meccanismo
più semplice, più trasparente e più democratico per cercare di favorire
la creazione di governi stabili in condizioni difficili. Con il
ballottaggio sono gli elettori a decidere. Sono loro, e non i partiti,
gli arbitri della formazione del governo. Quanto meno all’inizio della
legislatura. Ma il ballottaggio dell’Italicum fa paura. Nel nostro paese
la stabilità dei governi fa paura a molti. Questo è il punto. Con le
riforme istituzionali degli anni novanta abbiamo risolto il problema
della stabilità dei governi comunali e regionali. Sindaci e presidenti
di regione non sono più alla mercé dei consigli e dei partiti. Manca ora
l’ultimo tassello. Quello più difficile. Dare stabilità al governo
nazionale. Se al referendum vinceranno i NO torneremo al proporzionale e
a governi di coalizione, con l’aggravante della assenza dei grandi
partiti della Prima Repubblica. Torneremo alla instabilità e alla
irresponsabilità. Ma se Renzi cederà sul ballottaggio i NO avranno già
vinto senza nemmeno il bisogno di andare a votare a dicembre.