Repubblica 2.10.16
I tabù del mondo
Che cosa succede al nostro Io quando leggiamo
È
un esercizio faticoso non risponde al consumo senza filtri
dell’immagine ma espone a una esperienza che può diventare un incontro
mostrandoci qualcosa di noi
Il rapporto con il linguaggio è
filtrato dal mistero di quella che Lacan chiamava “lalangue”: i suoni
confusi che nel bambino precedono alfabeto e ordine logico Per questo
certi libri sono speciali: non raccontano solo altri mondi, rivelano
quello che a livello inconscio sapevamo già, ma non avevamo le parole
per dirlo
di Massimo Recalcati
Un nuovo tabù
invade il nostro tempo: è il tabù della lettura. Il lamento è unanime:
non si legge più, non si acquistano più libri né giornali, non si dedica
più tempo alla pratica della lettura. Meglio l’accesso immediato alle
immagini, meglio il loro consumo rapido. Sappiamo bene che la lettura
non è un esercizio facile; implica pensiero, applicazione,
concentrazione, solitudine. Un libro non è un programma televisivo;
leggere implica la pazienza del tempo, non risponde al consumo senza
filtri dell’immagine.
Ma cosa accade quando leggiamo? Prendiamo le
cose alla loro origine. Per leggere bisogna ovviamente conoscere la
lingua nella quale il libro è scritto. Ma qual è stata la nostra prima
lingua? La prima lingua non è stata quella di cui si nutre a prima vista
la lettura. La prima lingua non è la lingua nazionale, quella stabilita
dal codice del linguaggio, ma una lingua che ha preceduto tutte le
lingue e che viene prima di ogni possibile sua storia collettiva. Questa
prima lingua precede l’ordine simbolico, condiviso universalmente, del
linguaggio. È fatta di suoni confusi, di affetti, di stati emotivi, di
lettere disgiunte, di impasti di fonemi e spasmi del corpo. È una lingua
dove il significante non veicola il significato, ma è tutt’uno col
corpo di chi parla. Questa lingua prima non conosce ancora le scansioni
articolate del linguaggio; si presenta come un magma, una materia
indifferenziata e caotica. Questa strana lingua non esce dal corpo come
un suo fluido, ma è fatta di corpo; è una lingua che ha un corpo. Ne
abbiamo un esempio evidente nella lallazione del bambino o nei segni
pre-verbali che caratterizzano i suoi primi scambi affettivi con il suo
Altro. Si tratta di una lingua inarticolata, priva di alfabeto, o,
meglio, con un alfabeto assolutamente singolare, privatissimo e
incondivisibile. Ciascuno ha la propria perché questa lingua non
consente dialogo, comunicazione, trasmissione in quanto è il risultato
della sedimentazione delle tracce mnestiche che hanno costituito il
nostro passato più remoto. Lacan la battezza col termine “lalangue”
(lalingua), lalingua tutto attaccato proprio per indicare quell’assenza
di spaziatura simbolica - di articolazione - che la contrassegna. Ma
cosa c’entra lalingua con la pratica della lettura? I libri non sono
scritti ne lalingua che è una lingua neologistica, fatta della
singolarità delle tracce inconsce delle nostre prime esperienze
affettive. I libri sono scritti nel linguaggio stabilito dal codice
della lingua nazionale. Eppure lalingua resta la sua brace silente.
Perché preferisco leggere Kafka piuttosto di Manzoni? Sanguineti invece
di Pasolini? Perché mi interesso delle lingue antiche, del latino o del
greco, invece di quelle straniere? Perché, insomma, certe letture mi
catturano e altre no? Siamo noi a cercare i libri da leggere o sono i
libri che ci trovano? Il nostro rapporto con il linguaggio è filtrato
dal mistero de lalingua. Quando sono davvero impegnato nella lettura non
mi limito ad assorbire dei contenuti, delle conoscenze, delle storie.
L’incontro con un libro è davvero un incontro solo quando nella lettura
non sono tanto io che leggo il libro ma è il libro che mi legge. Ecco
una chiave che evidenzia la straordinaria importanza della lettura.
Leggere contiene sempre la possibilità misteriosa di sentirsi letti. Ma
cosa significa? Accade nella fruizione di ogni opera d’arte;
nell’ascolto della musica, nella contemplazione di un quadro o di una
fotografia. Sono davvero io che ascolto la musica, che guardo il quadro o
la fotografia? Oppure è la musica che mi ascolta, il quadro e la
fotografia che mi guardano? Il mistero si infittisce; ma un vero
incontro non è sempre qualcosa che ci tocca, che ci prende, che ci
afferra? Nella lettura non accade lo stesso? Perché quel libro mi scuote
se non perché in esso trovo le risposte o le domande che attraversano
la mia vita? Quando leggo sono innanzitutto letto. La lettura è esporsi
ad una esperienza che può diventare un incontro. Non accade certo quando
abbandoniamo la lettura di un libro che troviamo noioso o la terminiamo
a fatica. Ma può accadere sempre ogni volta che tra le mani prendiamo
un libro.
Cosa ha a che fare tutto questo con lalingua? Lo
scrittore degno di questo nome attinge incessantemente al deposito
stratificato de lalingua; “sintesi passive” direbbe Husserl; storie,
profumi, percezioni, parole, canzoni, sapori,
memorie remote,
immagini, come teorizzava Freud, “indistruttibili”. L’inconscio de
lalingua le custodisce come uno sciame di elementi sparsi, frammentati,
disordinati, anarchici che riemergono ogni qualvolta lo scrittore si
impegna nella sua attività. Ma anche il lettore – se il libro non è solo
un sapere che devo acquisire, ma qualcosa che innanzitutto mi legge –
si trova, attraverso il libro, confrontato alla propria lalingua.
Leggere
non è solo conoscere altri mondi, altre lingue al di là della nostra,
altre vite, ma è anche incontrare inaspettatamente pezzi staccati della
nostra lalingua. Un libro mi legge quando mi risponde, mi chiama, mostra
i miei fantasmi, affonda, per qualche ragione obliqua, nella mia
lalingua sorprendendomi e rivelandomi quello che inconsciamente sapevo
già ma non avevo ancora le parole per dirlo. Per questa ragione una
psicoanalista poteva recentemente dichiarare di essersi innamorata del
suo uomo guardando la sua biblioteca.