sabato 29 ottobre 2016

Repubblica 29.10.16
Immigrati, economia e regole il braccio di ferro fra le due Europe
Dietro all’ultima sfida ci sono visioni opposte della Ue, contestata con argomenti opposti sia da destra che da sinistra
di Andrea Bonanni

BRUXELLES. Italia e Ungheria sono ai ferri corti. Matteo Renzi e Viktor Orbán si scambiano battute soavemente velenose. Come sempre, il presidente del Consiglio italiano è astutissimo nello scegliersi l’avversario. Nessun leader europeo è altrettanto impresentabile e indifendibile del meta-fascista Orbán, con i suoi muri, i fili spinati, e i (falliti) referendum anti migranti. Ma anche Orbán è un volpone politico. E se prende di mira Renzi è perchè il governo italiano in questo momento viene guardato in Europa con una preoccupazione pari all’insofferenza che dimostra nei confronti delle regole Ue.
I DUE SCHIERAMENTI
In realtà sia Renzi sia Orbán sono i capofila di due movimenti che contestano, da posizioni diametralmente opposte, le regole, i modi e la filosofia della “ mainstream Europe”, quella maggioranza silenziosa di Paesi che si riconosce nell’attuale routine comunitaria. Semplificando, si può dire che Orbán, come interprete del Gruppo di Visegrad che riunisce Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia, rappresenta la contestazione dell’Europa “da destra”. Renzi aspira invece a guidare quei Paesi che, dalla Grecia al Portogallo, e per certi versi la Francia, contestano l’Europa e le sue politiche di austerità “da sinistra”.
LA DESTRA ANTI-EUROPEA
I quattro Paesi del gruppo di Visegrad rifiutano di accettare sul proprio territorio i richiedenti asilo che l’Europa vorrebbe redistribuire soprattutto a causa della loro diversità culturale e religiosa. Non vogliono contaminazioni islamiche in nome di una «Europa dalle radici cristiane» che non ha mai trovato posto nei documenti ufficiali della Ue. Inoltre rivendicano con forza una rinazionalizzazione delle politiche comunitarie con un riconoscimento della assoluta preminenza degli Stati nazione e della loro sovranità.
LA SINISTRA PER UN’ALTRA EUROPA
Aveva cominciato il premier greco Alexis Tsipras a contestare da sinistra le norme sulla disciplina di bilancio chiedendo «un’altra Europa». Gli è andata malissimo e ha rischiato l’espulsione dall’euro. Renzi si muove con più finezza e maggiore credibilità. Dice che rispetta le norme europee sul bilancio pur non condividendole. Contesta con validi argomenti la politica contabile e burocratica dello «zero virgola». Ma la sua decisione di presentare un progetto di finanziaria che si scosta appunto di uno 0,1% dai limiti concordati con Bruxelles sembra denotare la volontà di creare un caso politico su cui confrontarsi con Berlino.
LE IRRITAZIONI UE VERSO L’EST
La “mainstream Europe”, di cui la Germania è insieme interprete e ispiratore, guarda con fastidio a queste due rivolte. Orbán è stato apertamente criticato per il rifiuto di accogliere i profughi e ancora di più per aver cercato di usare un referendum di regime per dire di no alle quote di rifugiati. La Commissione è intervenuta a più riprese sia con il governo ungherese sia con quello polacco per contestare potenziali violazioni dello stato di diritto. Gli ungheresi si sono in qualche modo adeguati, mentre i polacchi, proprio ieri, hanno rispedito le contestazioni al mittente aprendo un conflitto senza precedenti. I tedeschi sono stati i primi a ventilare la possibilità di tagliare nel prossimo bilancioUe i fondi ai Paesi che rifiutano di dimostrare solidarietà sui rifugiati. Dopo la Brexit, Merkel ha però assunto toni più morbidi per evitare nuove spaccature. Renzi ha ripreso il tema con accenti molto più polemici, minacciando un veto italiano.
E QUELLE VERSO L’ITALIA
Sia sul fronte della politica di bilancio, sia su quello del controllo dei migranti irregolari, l’Italia suscita una certa preoccupazione in Europa. Recentemente i Paesi che circondano il nostro hanno chiesto un’altra proroga di 3 mesi della sospensione degli accordi di Schengen sulla libera circolazione delle persone. Il continuo flusso di migranti irregolari che sbarcano in Italia e, nonostante il completamento degli hotspots e del processo di identificazione, proseguono verso il Nord Europa, crea allarme.
La nostra permeabilità all’afflusso di clandestini offre il fianco alle stoccate di Orbán, anche se è evidente che l’Italia non può arrestare completamente i flussi senza diventare un grande campo di concentramento dei migranti, come è successo mesi fa alla Grecia.
Sul fronte dei conti pubblici, la Commissione, che ci ha concesso per due anni di derogare dal percorso di risanamento in nome della flessibilità, è sotto tiro da parte dei falchi. Anche ieri il ministro delle Finanze tedesco Schaeuble ha accusato l’esecutivo comunitario di essere diventato un organismo “politico”, che non assicura “neutralità” nella valutazione dei bilanci. E ha proposto che questa funzione di arbitro venga tolta alla Commissione e demandata al Meccanismo di stabilità europeo (guidato non a caso da un tedesco).
I RISCHI DELLO SCONTRO
Se nella diatriba tra Italia e Ungheria è fin troppo evidente come la ragione stia dalla parte di Roma, è però rischioso entrare in una logica di contrapposizione frontale con chi contesta l’Europa ”da destra”. Il pericolo è proprio quello di consentire agli altri Paesi, come la Francia e la Germania, di catalogare la questione nella deprecata categoria degli “opposti estremismi”, chiamandosi in qualche modo ad un ruolo di arbitro tra le parti e rinforzando così la marginalizzazione dell’Italia e delle sue ragioni.
Un rischio che Renzi dovrebbe evitare a tutti i costi.