il manifesto 29.10.16
Astensione in cambio di niente, Rajoy premier grazie al Psoe
Spagna. Al leader Pp oggi basterà l’«appoggio» silenzioso di almeno undici deputati socialisti
di Luca Tancredi Barone
BARCELLONA
Stasera verso le nove Mariano Rajoy Brey riacquisirà le piene funzioni
di presidente del governo spagnolo. Dopo essere stato sfiduciato dalla
maggioranza del Congresso per tre volte di seguito in due mesi, stasera,
grazie all’astensione di buona parte dei socialisti, otterrà l’ambita
maggioranza di sì che gli permetterà di dare il via al suo secondo
governo.
La Spagna è senza esecutivo da più di dieci mesi e la
situazione di stallo avrebbe portato lunedì a convocare nuove elezioni
il 18 dicembre (non a Natale, grazie a minileggina varata la settimana
scorsa) se non si fosse sbloccata oggi.
Il terzo dibattito di
investitura a cui si è sottoposto Rajoy giovedì non ha presentato grandi
novità. Lui, come nel suo carattere, ha promesso poco e si è mosso
ancora meno. Non ne aveva bisogno: il Psoe si è arreso senza chiedere
nulla in cambio. Il massimo della concessione del nuovo capo
dell’esecutivo è la sospensione di alcuni aspetti di un paio fra le
leggi più polemiche, come la riforma educativa, ma senza ritirarne
nessuna.
Ha ammesso che è «costretto» a dialogare, ma è difficile
immaginare che il suo stile di governo cambi. È vero che non gode più di
una maggioranza assoluta, ma nell’architettura costituzionale spagnola
il governo ha comunque moltissimo potere e sarà molto difficile, anche
volendo, mettergli i bastoni fra le ruote.
Tanto più che l’unica
vera arma che ha il Parlamento, cioè la legge di bilancio, si deve
approvare entro pochi giorni, e i socialisti non sono certo in
condizioni di sollevare obiezioni. Almeno per ora. Dato il sì
(dichiaratamente poco convinto) di Ciudadanos, non resta che Unidos
Podemos come grande partito di opposizione. Ma, come si è visto nel
dibattito di due giorni fa, sia Unidos Podemos che i socialisti hanno
dedicato parte del tempo a polemizzare fra di loro, e certamente gli uni
senza gli altri non hanno a oggi la possibilità di costruire
un’alternativa allo strapotere popolare, anche se orfano di qualche
milione di voti.
Al grido di «La Spagna ha bisogno di noi» e «La
storia ci darà ragione», come sull’entrata nella Nato e sull’abbandono
del marxismo, l’ex fedelissimo di Pedro Sánchez, il portavoce del gruppo
parlamentare Antonio Hernando, si è arrampicato sugli specchi per
giustificare come il suo «No è no» si è trasformato in un’astensione.
Per
la verità, giovedì hanno salvato la faccia votando comunque no: in
prima convocazione, nella sessione di investitura il candidato deve
raggiungere la maggioranza assoluta dei voti, impossibile nell’attuale
scenario. Per cui Rajoy, nonostante il piglio da vincitore, ha incassato
per la terza volta 180 no e 170 sì. Ma oggi – in cui basta la
maggioranza semplice – le cose cambieranno.
L’unica sorpresa è
quanti socialisti disobbediranno al diktat dei dirigenti che gestiscono
il partito decapitato. Oltre ai sette catalani, una manciata d’altri ha
già dichiarato che voterà No. Mistero sul segretario defenestrato Pedro
Sánchez: mentre parlava Hernando al posto suo, lui guardava il telefono
senza applaudire.
Difficile credere che possa astenersi dopo
quanto successo. D’altra parte, il comitato di gestione del partito ha
escluso quella che poteva essere una via d’uscita meno dolorosa per i
socialisti: garantire solo 11 astensioni, il minimo per far passare
Rajoy, senza costringere gli altri a rimangiarsi il No.
Forse si
dimetterà, ma perderebbe visibilità politica nel caso voglia tornare
all’assalto della segreteria. Voci di corridoio dicono che se anche lui
rompe la disciplina di voto, i «discoli» arriverebbero alla ventina, un
quarto del partito. In ogni caso, la ferita continua aperta.
Intanto
l’appoggio di Unidos Podemos alla manifestazione «Circonda il
Congresso» sta generando dibattito dentro Podemos (meno in Izquierda
Unida): secondo il numero due dei viola, Íñigo Errejón, potrebbe essere
un’arma per i loro nemici se, con tanta polizia, succede qualsiasi cosa.
Appena
il re firmerà la nomina, scatta il totonomi: ufficialmente nessuno si
fa avanti, ma la lotta dietro le quinte è aperta: almeno alcuni dei
ministri più criticati, quello degli interni in primis, potrebbero
essere lasciati fuori. Ma con Rajoy, nemico dei cambiamenti, non si può
mai sapere.